Giovinezza e senilità che si alternano e danno luogo ad un aspetto multiforme e, sinora, complesso da interpretare: così si mostrava Mercurio agli occhi degli studiosi impegnati nell’analisi della sua superficie.
Il pianeta più interno del Sistema Solare, infatti, presenta un’area – le pianure vulcaniche a nord – molto recente mentre altre zone, caratterizzate da terreni segnati da crateri, sono palesemente più antiche. Finora non era ancora stato possibile chiarire in maniera adeguata questa particolarità di Mercurio.
A fare la differenza – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – sono stati i dati raccolti dalla sonda MESSENGER (MErcury Surface, Space ENvironment, GEochemistry and Ranging) della NASA, che dal 2011 al 2015 ha orbitato intorno al pianeta raccogliendo una notevole quantità di dati che potranno essere utilizzati anche per approfondire le dinamiche di formazione ed evoluzione delSistema Solare interno.
Sono stati gli scienziati del dipartimento ARES (Astromaterials Research and Exploration Science), che fa parte del Johnson Space Center della NASA, ad utilizzare il materiale di MESSENGER per comprendere come su Mercurio si possano essere costituite strutture così eterogenee.
Secondo gli autori della ricerca, i pianeti, nel loro processo evolutivo, vivono una fase in cui il calore li fa sciogliere quasi completamente, per poi passare ad un periodo di consolidamento in cui si formano vari minerali. In alcuni casi i minerali si possono separare e dare luogo a differenti strati all’interno dei pianeti. Un esempio di questa condizione è offerto dai campioni della Luna raccolti durante le missioni Apollo, mentre la Terra non sembra avere questo genere di strati, anche a causa dei movimenti tettonici.
I ricercatori dell’ARES hanno quindi cercato di comprendere se il volto eterogeneo di Mercurio sia dovuto a una realtà simile a quella della Luna, come proponevano studi precedenti, oppure a quella della Terra.
Le attività sperimentali si sono svolte nel laboratorio di petrologia del Johnson Space Center, dove i materiali sono stati sottoposti a specifiche condizioni di pressione e temperatura per simulare i processi interni di un pianeta. Uno dei campioni rocciosi impiegati è un particolare tipo di meteorite, l’enstatite condrite, ricca di metallo, poco ossidata e considerata il materiale da cui Mercurio avrebbe avuto origine.
A valle della sperimentazione, gli studiosi hanno ipotizzato che il particolare look del pianeta, il cui interno è omogeneo, va attribuito ad un’ampia varietà di processi di fusione che giungono in superficie da vari livelli di profondità. Le aree più antiche della crosta si sarebbero formate dal materiale scioltosi internamente al limite tra il ‘cuore’ di Mercurio e il suo mantello, mentre le zone più recenti si sarebbero costituite più vicino alla superficie.
MESSENGER, che ha terminato la sua vita tecnica schiantandosi sulla superficie di Mercurio il 30 aprile 2015, era stata lanciata il 3 agosto 2004 da Cape Canaveral ed era arrivata a destinazione dopo quasi sette anni di viaggio, il 18 marzo 2011.
A raccogliere il testimone e proseguire lo studio sul primo pianeta del Sistema Solare sarà nel 2018 la missione Bepi Colombo, che vede l’Italia, tramite l’Agenzia Spaziale Italiana, coinvolta con un contributo scientifico di alto livello.