Dalle corde alle opere d’arte, parte dalle Marche il rilancio della canapa

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Carta, corde resistenti, tessuti e telerie. Gli usi della canapa hanno in Italia un’antica tradizione, legata all’espandersi delle Repubbliche marinare, che l’utilizzavano grandemente per corde e vele delle proprie flotte di guerra. Così come è molto antica la tradizione di utilizzarla per telerie ad uso domestico che erano spesso decorate con stampi di rame nei due classici colori, ruggine e verde.
Si calcola che nella sola Emilia-Romagna, nel 1910 vi fossero 45.000 ettari di terreno coltivati a canapa, soprattutto nel Ferrarese, mentre il dato complessivo di tutta Italia portava la superficie a 80.000 ettari. La coltivazione andò in crisi per la concorrenza, soprattutto nella produzione di sacchi, della juta e successivamente del cotone e delle fibre sintetiche. Nel 1975 quando fu inasprito il divieto della coltivazione della canapa indiana Cannabis indica e nello stesso tempo messe in atto severe normative per la canapa tessile, il settore fu del tutto abbandonato.
Ora un comune marchigiano, Serra De’ Conti, in provincia di Ancona, prova a rilanciare la canapa attraverso la manifattura, l’agricoltura di qualità e la cultura di questa pianta.
Dopo aver rilanciato il brand della cicerchia, nelle Marche, si lavora dunque per recuperare la filiera della canapa, fibra naturale dalle notevoli potenzialità nel tessile, nell’alimentazione, nella cosmesi e nella coibentazione in edilizia. Un prodotto a km 0, molto diffuso fino agli anni ’50 del secolo scorso, quando ancora la coltivazione agricola della canapa era molto comune nelle zone mediterranee, e l’Italia era uno dei principali produttori mondiali della fibra e dell’olio largamente usati per corde, tessuti, energia, mangimi.
Mentre cresce la domanda mondiale di fibre naturali, a Serra De’ Conti operano da tempo un’azienda che ha lanciato il materasso in fibra di canapa supertraspirante, agricoltori bio attivi nel recupero della filiera, un’amministrazione comunale impegnata nello sviluppo di nuovi indirizzi in agricoltura e nel rilancio dell’identità agricola del comprensorio, in attuazione degli orientamenti comunitari 2014-2020.
Non è un caso dunque se in questo ridente borgo medievale stia lavorando da alcune settimane, appunto su fibre di canapa e altri materiali naturali, un artista visivo dall’ampia attività espositiva, in Italia e all’estero, quale il romano Valerio Giacone.
L’artista è qui da fine luglio, per una residenza creativa finalizzata alla realizzazione di una installazione site-specific nella chiesa intitolata alla Santa Croce, un piccolo scrigno d’arte di fine ‘500, oggi sconsacrato, e che sarà possibile visitare per tutta la notte del 20 agosto prossimo tra i 36 eventi del decennale del Festival Nottenera.
Libri, cera d’api, fibre di canapa, terra, disegnano nel lavoro di Giacone un labirinto che si snoda in dieci tappe, un diagramma con i dieci punti (sephirot) dell’Albero della Vita di cui parla la tradizione della Qabbalah e che riproduce la struttura interna del corpo umano; attraverso l’opera, l’artista conduce il pubblico nella sua poetica ed invita ciascuno ad entrare in connessione con la propria spiritualità e con la sacralità dell’essere umano. (AdnKronos)

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