Il terremoto, certo, ma soprattutto lo tsunami. Constitucion fu una delle città più colpite dal maremoto che nel 2010 devasto’ la costa centro-meridionale del Cile. Sono passati sei anni e oggi la ricostruzione della cittadina e’ un caso emblematico sui principi base che devono guidare la rinascita post-sisma. Fu uno dei terremoti più forti di sempre, alle 03:34 (sì, sempre all’orario del diavolo) del 27 febbraio 2010, la fine dell’estate in Cile, di magnitudo 8.8: 525 morti, 50 città e 900 villaggi colpiti, miglia di case abbattute, 1.400 km di strade non percorribili. Danni pari al 18% del Pil. In altre parole, un’intera zona del paese da ricostruire, con costi stimati in circa 30 miliardi di dollari. Solo a Constitucion (46 mila abitanti) le case danneggiate furono 20 mila: una città non solo da rifare, ma soprattutto da “ripensare”.
Nel 2014 il governo cileno ha presentato un rapporto con un bilancio proprio sul fronte ricostruzione a livello nazionale. Tra i principali problemi individuati, la lentezza nella rimozione delle macerie, problemi nell’esproprio dei terreni per la ricostruzione, deficit nelle diagnosi dei danni, sperequazioni tra quanto fatto nel centro della citta’ e nelle periferie e aree rurali, scarsa diffusione tra le persone colpite dei propri diritti. Quattro anni dopo, in un modo o in un altro, quasi l’84% delle abitazioni e’ stato comunque ricostruito. “Prendendo spunto da Constitucion, bisogna sempre aver presente alcuni punti chiave: le comunità si sentono abbandonate, credono che rimarranno in quelle condizioni tutta la vita, soprattutto quando l’attenzione dei media sparisce“, dice all’ANSA Jose Oda, tra i responsabili del Fondo solidarietà-investimenti sociali del Cile. “Le scosse spezzano non solo le abitazioni ma anche il tessuto sociale. Per questo lo Stato deve lavorare in modo costante, metodico, con idee e con risorse. I problemi emersi? Spesso le case della ricostruzione sono piccole, non più di 40 metri quadrati, non hanno quindi spazio per famiglie allargate, per esempio per i nonni o altri parenti. Altro punto chiave, ricorda Oda, evitare che la scossa diventi una scusa per spostare la gente dalle aree con un alto valore immobiliare“.
Sia a Constitucion sia a Iquique, altra città cilena martoriata dai terremoti, c’e’ l’impronta di Alejandro Aravena, direttore della Biennale di Architettura di Venezia e premio Pritzker 2016. L’architetto ‘star’ del Cile non si oppone alla natura ma ci convive. Niente muri anti-tsunami per proteggere Constitucion dai maremoti, come si era pensato nel 2010, anche perché gli abitanti segnalavano altri problemi quasi quotidiani, oltre all’angoscia per il ‘mega-evento maremoto’: mareggiate costanti che allagavano parti della città, poche aree verdi e abitazioni adeguate, comunicazioni in cattive condizioni, scadenti edifici pubblici. Il ‘metodo Aravena‘ punta a una ‘rigenerazione sostenibile’ e prevede in sostanza due cose: ascoltare le priorità della gente e ‘fare rete’ con le strutture governative. Gli abitanti di Constitucion si sono quindi orientati per una ricollocazione delle abitazioni distrutte, oltre al via libera per un nuovo parco pubblico tra la citta’ e il mare. Questa e’ un’altra idea chiave di Aravena: il bosco non come muro per gli tsunami, ma per ridurne l’impatto, oltre ad una serie di altri vantaggi secondari. Emerge, in sintesi, quello che e’ stato chiamato il Pren (Piano ricostruzione sostenibile): un complesso di abitazioni per 482 famiglie, un parco di ‘mitigazione fluviale’, piazze, parchi, nuovo teatro e biblioteca. A Iquique e Constitucion, Aravena ha inoltre costruito un quartiere fatto di abitazioni con una particolarità post-sisma: quella di essere pronte solo al 50%, una costruzione definita “da incrementare”, nel senso che l’altra meta’ della casa viene costruita solo quando il proprietario e’ in condizioni economiche di poter farlo.