Dieta mediterranea scudo ‘salvacuore’. Non solo per i sani, ma anche per chi ha una storia di malattia cardiovascolare alle spalle. La scienza torna a indagare sulla regina dei regimi alimentari, faro della tradizione italiana a tavola. Ma questa volta lo fa concentrandosi proprio su chi ha più bisogno di stili di vita protettivi: un team di ricercatori italiani, infatti, ha dimostrato che la dieta mediterranea è associata a un rischio ridotto di morte in pazienti che hanno già avuto il cuore sotto ‘minaccia’. Il lavoro, presentato oggi al congresso della Società europea di cardiologia (Esc), in corso a Roma fino a mercoledì 31 agosto, è ‘made in Molise’. Ha le sue fondamenta nel maxi progetto Moli-sani, studio epidemiologico prospettico che ha reclutato ‘random’ circa 25 mila adulti della regione trasformandola così in un mega laboratorio a cielo aperto. Per arrivare a questi numeri gli scienziati hanno arruolato una media di 5 mila persone l’anno per 5 anni – dal 2005 al 2010 – raggiungendo un “peso statistico importantissimo con il quale si sta dando un grande contributo alla medicina internazionale“, spiega all’AdnKronos Salute Giovanni de Gaetano, responsabile del Dipartimento di epidemiologia e prevenzione all’Irccs Neuromed, Istituto neurologico mediterraneo di Pozzilli (Isernia). Il maxi campione che coinvolge “praticamente il 10% circa degli adulti molisani, è altamente rappresentativo della popolazione reale, degli stili di vita diversi, della diversa estrazione sociale: abbiamo persone che vivono in montagna, sul mare, in piccoli paesi e nella grande città, estratte a sorte dagli elenchi di Comuni a loro volta selezionati in maniera casuale“. La ricerca che de Gaetano ha presentato ai cardiologi europei a congresso nella Capitale si è concentrata su 1.197 persone dello studio Moli-sani che “al momento dell’arruolamento hanno riportato una storia di malattia cardiovascolare“, un evento cardiocerebrovascolare documentato, spiega Marialaura Bonaccio, autrice principale dello studio e ricercatrice under 40 supportata da una borsa della Fondazione Umberto Veronesi. Il messaggio è positivo: “Non è vero che dopo un infarto è tutto perduto“, dice de Gaetano. I nemici del cuore “si combattono anche a tavola. Perciò ai pazienti dico di non focalizzarsi solo sui farmaci, ma anche sullo stile di vita: qualche chilometro o rampa di scale in più a piedi, tv spente e alimentazione ‘scudo’“. Nello studio, durante un follow up durato in media 7,3 anni, sono state registrate 208 morti (tutte le cause di morte sono state valutate mediante il collegamento con i dati dell’Ufficio delle statistiche vitali in Molise). L’aderenza alla dieta mediterranea è stata valutata con un punteggio da 0 a 9 punti. E un aumento di due punti, hanno osservato gli scienziati, è risultato associato a una riduzione del rischio di morte del 21%. Considerando tre livelli, il gruppo con i punteggi maggiori (6-9), quello cioè che segue più rigorosamente i dettami della dieta mediterranea, ha mostrato un rischio di morte più basso rispetto a chi si era discostato maggiormente dal regime alimentare ‘all’italiana’ totalizzando i punteggi più bassi (0-3). “Abbiamo scoperto – spiega de Gaetano – che tra le persone con un’adesione più alta alla dieta mediterranea la mortalità per qualsiasi causa è stata ridotta del 37% rispetto a chi invece ha rispettato poco i principi di questo stile alimentare“. Lo studio, dunque, conferma il potere protettivo della dieta mediterranea. “Solo che stavolta non parliamo di prevenzione primaria, ma secondaria“, dice lo scienziato, per pazienti già colpiti al cuore. Ma qual è il segreto, la carta vincente dell”Italian style’ nel piatto? I ricercatori hanno approfondito la loro indagine, guardando al ruolo svolto dai singoli ingredienti che compongono la dieta mediterranea. “Il maggior contributo alla riduzione del rischio di mortalità è stato dato da un più alto consumo di verdure, pesce, frutta, noci e acidi grassi monoinsaturi, che significa olio di oliva“, elenca Bonaccio. Questi risultati, continua de Gaetano, “ci spingono ad approfondire il meccanismo attraverso cui la dieta mediterranea può proteggere dal rischio di morte. Ci sono diverse ipotesi. Gli alimenti che come conferma il nostro studio contribuiscono di più sono caratterizzati dai polifenoli, sostanze che danno il colore a frutta e verdura, ma soprattutto hanno un effetto antinfiammatorio e antiossidante e possono favorire la salute proprio riducendo infiammazione e ossidazione dei lipidi, meccanismi che portano al deterioramento dei tessuti, e alla morte“. Molto c’è ancora da indagare, ma “i Paesi mediterranei, rispetto per esempio al Nord Europa, sembrano godere di un beneficio diffuso che mostra un gradiente geografico“, dice de Gaetano. E l’Italia, culla della dieta mediterranea, potrebbe essere avvantaggiata. “Potrebbe – precisa – Ma purtroppo oggi le cose sono un po’ cambiate. La dieta mediterranea che nasce come la dieta del contadino povero che non si poteva permettere la carne e doveva usare l’olio invece del burro è diventata quasi un privilegio per classi benestanti che possono permettersi di comprare a caro prezzo la verdura e la frutta più fresche e genuine. Mentre è diventato difficile seguirla per molte famiglie con disponibilità economiche ridotte ancora di più dalla crisi e in cui spesso le mamme lavorano fino a tardi e sono costrette a cucinare in velocità“. Questi aspetti il team di ricercatori italiani li approfondirà nei prossimi mesi per capire se i benefici della dieta mediterranea si distribuiscono equamente sulla popolazione. Intanto però de Gaetano lancia un appello affinché “si riducano le disuguaglianze a tavola con politiche ad hoc che orientino i consumatori verso i cibi sani, mettendoli alla portata di chiunque indipendentemente da cultura e reddito. Sono stanco di dire che la dieta mediterranea fa bene. Ora bisogna che faccia bene a tutti“. (AdnKronos)