Terremoti: il Giappone era all’avanguardia per le case antisismiche già 100 anni fa

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All’indomani del sisma che ha devastato Amatrice e altri comuni del centro Italia, facendo (secondo un bilancio provvisorio) almeno 247 morti, esperti e commentatori invocano all’unisono l’esempio del Giappone, paese all’avanguardia in fatto di costruzioni antisismiche, dove una scossa come quella di ieri – è il parere di tutti – non avrebbe prodotto morti e distruzioni. Ma non si tratta affatto di una novità. Già all’inizio del secolo scorso, infatti, il Giappone veniva additato come esempio da seguire. All’indomani del devastante terremoto che colpì Messina e Reggio Calabria alla fine del 1908, facendo quasi 100.000 morti, scriveva sul “Corriere della Sera” il grande meridionalista Pasquale Villari: “L’Italia, almeno una parte di essa, è un paese di terremoti. Questa è una doppia sventura, perché è un gravissimo ostacolo al progresso, specialmente di quelle regioni in cui il terremoto periodicamente infierisce. In pochi minuti distrugge l’opera di molti anni, di secoli: case, chiese, scuole, edifizi pubblici e privati, ponti, strade più non esistono. Bisogna sempre ricominciare da capo”. “C’è però un altro paese che assai più del nostro è paese di terremoti: il Giappone. E questo paese ha saputo trovare il modo, non già di evitare i terremoti, che questo non è dato a nessuno: ma di evitarne, in non piccola parte, i disastrosi effetti. E si noti che il Giappone, adesso, a cagione dei non meno disastrosi incendi, abbandona quasi del tutto la costruzione delle case in legno. Valendosi della scienza e della esperienza, esso ha saputo indagare come si debbono costruire le case in muratura, perché non crollino, ma resistano all’urto del terremoto, quando sopravviene”. Era stato il sismologo padre Guido Alfani, ricordava nel suo articolo Villari, a raccogliere “i risultati della esperienza giapponese” in un “pregevole” volumetto pubblicato dopo un altro grave sisma avvenuto in Calabria nel 1905 (“I terremoti e le case”). In esso il religioso indicava “che le case costruite sul terreno solido, specialmente sulla roccia, sono le più resistenti. Crollano invece rapidamente quelle costruite su terreno arenoso, mobile, friabile. In quest’ultimo caso è necessario consolidare le fondamenta con provvedimenti, che nel suo scritto sono assai ben determinati con chiarezza e precisione”. Padre Alfani “indicava con esattezza matematica quale doveva essere la forma e grossezza delle mura; quale il materiale da adoperarsi, quale da evitarsi; quale la forma, la costruzione, il materiale da adottarsi per i tetti; quale l’altezza delle case. E tutto ciò dimostrava con le ragioni suggerite dalla scienza, confermate dalla larga esperienza fatta nel Giappone”. Il religioso inoltre, proseguiva Villari, aveva dimostrato “pure ciò che, in senso quasi inverso”, era avvenuto in Italia. Proprio nel terremoto del 1905, ad esempio, erano crollate “tutte quelle case che, dopo i passati terremoti, erano state ricostruite contro i dettami della scienza e della esperienza”. Avevano resistito invece, e si erano salvate, “alcune di quelle che, dopo il funesto terremoto del 1783, furono ricostruite secondo alcune norme suggerite da una Commissione di esperti, ed imposte dai Borboni. Invece nel 1905, dopo uno slancio ammirabile di carità in tutta Italia, dopo aver profuso milioni, largiti dai privati e dal Governo, si tornò a costruire trasgredendo le buone norme, e le case sono di nuovo interamente crollate, anche quelle costruite (così si afferma) da ingegneri provenienti dall’alta Italia!”

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