“La cosa più spaventosa è il rumore: hai l’impressione che sia esplosa una bomba nella testa. Un rumore sordo, brutto. Poi apri gli occhi e vedi le pareti della tua camera che si stanno piegando e pensi che finiranno per travolgerti. Poi piano piano scopri di essere ancora vivo. Vivo per miracolo”. Roberto Monaldo fotografo de LaPresse racconta la terribile esperienza di scampato, insieme ai genitori, al terremoto che la notte scorsa ha devastato Amatrice e i paesi vicini. “Ero ad Amatrice a casa della mia famiglia, mia madre è originaria proprio del paese, e stamani dovevamo ripartire tutti insieme per Roma. Poi è successo quel che non ti aspetti. Tra l’altro” racconta ancora Monaldo, “io dormivo nella parte della casa completamente crollata mentre i mei genitori, per fortuna, erano nella parte che ha resistito subendo pochi danni”. Alla fine di questa terribile avventura Monaldo ammette di “essere un pò acciaccato, qualche botta, qualche contusione ma niente di drammatico”. Una notte lunga e scioccante. “Quando mi sono reso conto che le pareti della mia camera da letto non mi erano crollate adosso si è posto il problema di come uscire visto che porta e finestre erano bloccate. Ci sono riuscito infilandomi in una apertura che si era prodotta nel muro e devo dire che l’immagine che ho visto mi ha terrorizzato: le macerie della casa erano arrivate al secondo piano”. Il fotografo de LaPresse racconta di essere sceso e di essersi subito preoccupato dei genitori. “Come ho detto erano nella parte di casa meno colpita dal Terremoto ma il problema era che non potevano uscire perché la porta della camera era completamente bloccata. Con un vicino ci siamo procurati un piccone e abbiamo cominciato a sfondare la porta e il muro riuscendo a praticare un’apertura verso l’esterno. Restava comunque il problema di come farli scendere in strada tenendo anche conto del fatto che mio padre e mia madre hanno ottant’anni. Piano piano con una scala, come fossimo due pompieri, io e il vicino li abbiamo fatti scendere e tratti in salvo senza incidenti e senza abbiano avuto bisogno di farsi accompagnare in ospedale”. A Roma sembrava impossibile comunque tornare visto che la “macchina che era parcheggiata vicino al muro della casa è stata completamente distrutta dalle macerie crollate. Ho chiamato mio nipote e sono riuscito a farmi riportare a Roma insieme ai miei genitori”. Senza cellulare, senza vestiti e senza documenti il fotografo ha lasciato Amatrice con un incubo e un rimpianto. L’incubo è che “fino a pochi giorni fa la casa era piena di bambini, tutti i nostri nipoti. Non riesco nemmeno ad immaginare a quale tragedia personale saremmo andati incontro se il Terremoto fosse avvenuto una settimana prima”. Il rimpianto è lavorativo: “Non ho potuto scattare nemmeno una fotografia, né per la verità in quei momenti ci ho pensato. Ora che sono al sicuro nella mia casa di Roma mi dispiace non aver vissuto questa tragedia dall’altra parte, non come terremotato ma come cronista che parte e va a documentare l’ennesimo dramma vissuto dalla gente comune. E ho ancora negli occhi le immagini di una città che mi ha ricordato la Berlino distrutta e devastata dai bombardamenti alla fine della seconda guerra mondiale. Questa volta, però, ero veramente dall’altra parte”.