Terremoto, il sindaco di Conza: “Le foto di oggi come l’Irpinia dell’80”

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La notte tra il 23 e il 24 agosto 2016 come la sera del 23 novembre 1980. A Conza della Campania, il paese più vicino all’epicentro del Terremoto dell’Irpinia che causò 2.914 morti, le immagini di Amatrice, Arquata e gli altri paesi del centro Italia distrutti dal sisma hanno risvegliato un’ondata di brutti ricordi, di terrore e disperazione. “Quanto successo ci ha riportato al 1980, le immagini si sovrappongono. Per l’Aquila è stato diverso, ma questi sono paesi come era Conza nostra“, dice ad Antonella Scutiero per LaPresse il sindaco Vito Cappiello. ‘Conza nostra’ oggi non esiste più: il vecchio paese è stato abbandonato, e poi ricostruito in un altro posto.

D: Il sindaco di Amatrice ha detto che il paese ‘non esiste più’. Anche Conza della Campania fu rasa al suolo.
R:La nuova generazione ci è nata, vive questo paese qui come suo, per chi c’era prima dell’Ottanta è ancora oggi molto difficile, ‘casa’ era da un’altra parte.

D: Cosa avete provato alla notizia nel Terremoto nel centro Italia?
R: E’ come riaprire una ferita che stavamo cercando di rimarginare. Mettendo affianco una fotografia dall’alto presa oggi con il drone e una del 1980, magari scattata da un elicottero, è difficile distinguere cosa è di oggi e cosa di ieri. Sono due situazioni dolorosamente simili.

D: Impossibile non pensare a quanto è stato difficile il dopo Terremoto a Conza e negli altri comuni coinvolti.
R: La storia va contestualizzata anche temporalmente, le condizioni non erano le stesse di oggi pur avendo gli stessi problemi. Venivamo da un periodo in cui la protezione civile era un eufemismo, oggi è un valore molto reale ed è l’essenza della coscienza che il Paese ha maturato nel corso degli anni, aggiungerei purtroppo visto quante tragedie sono successe.D: Basta?R: Bisognerebbe fare molto molto di più, servirebbe massiccia opera di prevenzione. E lo dimostra che ci sono ancora numerosissime vittime, eppure abbiamo alle spalle secoli di tragedie. Questo deve far riflettere davvero.

D: Cosa è cambiato a Conza in questi ormai quasi 36 anni?
R: E’ cambiato tutto in modo radicale, e non poteva essere altrimenti, c’è stato l’effetto della delocalizzazione. Il vecchio paese è stato abbandonato, acuni anni fa Conza fu presa ad esempio per la new town dell’Aquila, ma va tutto contestualizzato ovviamente.A Conza fu una scelta non solo amministrativa ma anche di sentimenti della gente. Poi c’erano i vincoli della soprintendenza che ha chiuso l’area archeologica.

D: Quanto ci è voluto?
R: Ogni tragedia ha un iter particolare. A Conza è stata abbastanza lungo anche, sono passati 12 anni dal Terremoto al trasferimento della popolazione. E nel frattempo siamo passati per le baracche, poi i prefabbricati, poi finalmente le case, sia pure con ritardi nelle consegne che alla fine si sono protratti soprattutto per garage, depositi, locali non abitativi, insomma.

D: Che impatto ha avuto tutto questo?
R: Aver delocalizzato l’intero paese in un’altra zona da un verso è stato anche agevolante perché abbiamo rifatto tutto da zero, dall’altra parte c’è stata la necessità e la difficoltà di abituarsi qualcosa di diverso. Man mano il nuovo paese ha preso una sua anima, ma è impossibile dimenticare.

D: E del vecchio paese cosa rimane?
R: Rimane un parco archeologico, la città romana ha subito tanti terremoti, si era stratificata è una sorta di ‘documento storico’ delle varie scosse che si sono susseguite e delle ricostruzioni che ci sono state.

D: Come ricorda quei tragici momenti del Terremoto?
R: Io avevo 22 anni, era domenica sera, ero uscito con gli amici, sa, si andava nei paesi vicini per fare amicizia… Stavamo tornando a casa quando è successa la catastrofe e non riuscivamo a capire, pensavamo fosse un guasto meccanico, pensi un po’. Solo quando ci siamo fermati e siamo scesi dall’auto abbiamo capito che cosa era successo. E’ stata una notte trafica, ma è con le prime luci dell’alba abbiamo capito che era tutto molto più grave di quanto pensavamo.

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