Le lancette si inchiodano di nuovo, immobili, nel cuore della notte e l’orologio fermo di un campanile diventa ancora una volta la fotografia del dolore indelebile di una scossa che cancella paesi, ammassa macerie, intrappola vite. Sul campanile de L’Aquila – racconta Nadia Pietrafitta per LaPresse – saranno per sempre le 3.32 del 6 aprile 2009, quando un Terremoto uccise 308 persone. Da questa notte – così, beffarda, ha deciso madre natura – la torre civica di Amatrice segnerà le 3.36. Risalente al 1200, è l’unica cosa rimasta in piedi sul corso del piccolo comune del reatino. E se gli abitanti vogliono interpretare la cosa come un segno di buon auspicio, nella memoria di tutti è troppo recente quanto accaduto in Abruzzo per non far riaffiorare incubi notturni passati.A vivere in prima persona questa dolorosa similitudine è Massimo Cialente. “E’ successa la stessa cosa. Ho avuto un déja-vu, sono distrutto” spiega a sera, quando è stremato. Il sindaco dell’Aquila è uno dei primi ad arrivare ad Amatrice. “Quando ho sentito la scossa ero stranamente sveglio, non sapevo se accendere la tv o leggere un libro – racconta – poi è arrivata questa strana folata. E’ stata molto lunga e ondulatoria”. Il primo cittadino verifica in poco meno di un’ora che la scossa delle 3.36 del reatino non ha causato danni gravi al capoluogo. Si mette in macchina e parte, accompagnato dal suo assessore alla ricostruzione. “Arrivato lì – racconta – ho rivisto la mia città. Nel corso di Amatrice ho visto via Roma, un’altra via, distrutta, mi ha ricordato Onna”. “Abbiamo rivissuto l’incubo e lo rivivremo ancora perché non facciamo prevenzione”. Sente la scossa da L’Aquila anche Stefania Pezzopane, oggi senatrice Pd e nel 2009 presidente della provincia abruzzese. “Ero nella stessa casa da cui sono dovuta scappare quella notte e che ho dovuto abbandonare per un anno e mezzo e ho rivissuto quella fuga. So cosa provano gli sfollati: il dolore, la paura, il senso di perdita che ti assale perché non hai con te nemmeno lo spazzolino, o la biancheria”. Il 118 aquilano è il primo ad arrivare ad Amatrice, tante le squadre della protezione civile che si muovono. Perché le zone colpite sono vicine, certo. “Ma anche perché – sottolinea Pezzopane – noi non dimentichiamo quello che l’Italia ha fatto per noi”.
Terremoto, l’orologio di Amatrice fermo alle 3.36: L’Aquila rivive l’incubo
