Esistono nell’Universo sorgenti di raggi X talmente forti da superare la cosiddetta luminosità di Eddington, ovvero il limite naturale all’intensità luminosa di un corpo sferico come una stella. Queste potentissime fonti di luce sono state chiamate dagli astronomi ULX, dall’inglese Ultraluminous X-ray sources, e la loro origine è stata da sempre attribuita ai buchi neri.
Fino alla fine del 2014, quando il telescopio spaziale NuSTAR della NASA ha rilevato una strana e misteriosa pulsazione in una ULX chiamata M82 X-2. È stato così coniato il nome ULX-pulsar, la cui natura metteva in crisi le precedenti convinzioni sulle sorgenti ultra-luminose a raggi X. Infatti, se i buchi neri sono abbastanza massicci da poter fornire l’energia necessaria per le ULX, non dovrebbero invece essere in grado di produrre pulsazioni. E neppure ci si poteva trarre d’impiccio attribuendo a questa nuova categoria di oggetti le caratteristiche delle pulsar, tipiche stelle di neutroni, perché la luminosità di queste ultime è decisamente inferiore a quella delle ULX.
Le ULX-pulsar sono così rimaste oggetti ibridi, la cui origine è per gli astronomi ancora un enigma.
Ora un gruppo di scienziati giapponesi ha elaborato un’ipotesi che potrebbe chiarire lo strano comportamento di queste sorgenti luminose a metà tra ULX e pulsar, spiega l’Agenzia Spaziale Italiana. Il team di ricerca, guidato da Tomohisa Kawashima del National Astronomical Observatory of Japan (NAOJ), ha sviluppato una simulazione utilizzando un modello già sperimentato con successo per riprodurre i buchi neri. Si tratta del cosiddetto ‘codice a radiazione idrodinamica’, che è in grado di simulare al computer oggetti super energetici a partire dal comportamento del loro gas di accrescimento. Applicando questo metodo, Kawashima e colleghi hanno riprodotto nel supercomputer ‘ATERUI’ del NAOJ (immagine a destra) una ULX-pulsar, e ne hanno osservato le caratteristiche. Sorprendentemente, i risultati (pubblicati su Astronomical Society of Japan) mostrano per la prima volta una perfetta compatibilità tra la luminosità delle ULX e le pulsazioni tipiche delle pulsar. Quella elaborata dal team giapponese è dunque la prima simulazione a supportare l’idea che il ‘motore’ delle ULX-pulsar sia effettivamente una stella di neutroni.
Per confermare questa ipotesi, saranno però necessari ulteriori indagini, che Kawashima e colleghi stanno già predisponendo: il prossimo passo sarà applicare il modello simulativo a M82 X-2 osservata da NuSTAR e ad altre candidate ULX-pulsar.