Scienziati canadesi della University of British Columbia (Ubc) hanno scoperto un bersaglio terapeutico che potrebbe portare a nuove terapie contro la malattia di Crohn, invalidante patologia infiammatoria cronica intestinale. Ma potrebbe anche migliorare il trattamento di altre malattie che causano danni agli organi innescando un processo di fibrosi, iperproliferazione di tessuto connettivo che finisce per ‘soffocare’ quello funzionale.
Lo studio, condotto sui topi, è pubblicato su ‘Science Immunology‘ e accende i riflettori su un recettore ormonale: spegnere questo ‘interruttore’ potrebbe evitare la fibrosi ed “esistono farmaci disponibili potenzialmente in grado di bloccarlo nelle cellule normali e prevenire la patologia fibrotica“, spiega Kelly McNagny, co-autrice del lavoro, docente di genetica medica e direttore dell’Ubc Biomedical Research Centre. Più nel dettaglio, i ricercatori hanno identificato nei topi una particolare mutazione che previene lo sviluppo di fibrosi dopo che gli animali sono stati infettati con un tipo di salmonella capace di mimare i sintomi del Crohn.
La mutazione protettiva ‘spegne’ un recettore ormonale che stimola una risposta immunitaria infiammatoria all’origine della fibrosi. Gli studiosi ritengono dunque di avere scoperto il meccanismo-guida del processo fibrotico, e prospettano novità positive anche nella lotta a cirrosi epatica, malattia renale cronica, esiti cicatriziali post-infarto, degenerazione muscolare: “Potenzialmente pensiamo di poter bloccare le complicazioni associate a tutte queste condizioni fibrotiche correlate all’età“. Il prossimo passo sarà testare nei topi i medicinali specifici già a disposizione, per provare a fermare o invertire la fibrosi nei topi.