Per offrire una nuova speranza ai pazienti affetti da rene policistico (Adpkd), circa 60 mila in Italia e 12 milioni in Europa secondo alcune stime, forse basta un poco di zucchero. O meglio di falso zucchero: una molecola di glucosio modificata in grado di agire come ‘cavallo di Troia‘, ingannando le cellule malate per introdursi al loro interno e frenarne la crescita. La ricetta cantata da Mary Poppins nel celebre film della Disney diventa approccio scientifico all’Irccs San Raffaele di Milano, dove un candidato farmaco contro la prima causa genetica di insufficienza renale si prepara a passare dal laboratorio alla corsia. Dovrebbe infatti partire all’inizio del 2017 l’arruolamento per i primi test sull’uomo che valuteranno la sicurezza di un candidato farmaco innovativo anti-Adpkd, il 2-deossi-glucosio (2DG), in una ventina di pazienti. Dopo il successo della fase preclinica sui topi, documentati in due studi pubblicati dagli scienziati di via Olgettina guidati da Alessandra Boletta, i fondi per lanciare lo studio di fase clinica I sono stati messi in campo dal ministero della Salute.
“Se l’Istituto superiore di sanità darà l’ok, entro l’anno prossimo dovremmo riuscire a concludere il trial”, spiega all’AdnKronos Salute Riccardo Magistroni, responsabile dell’Ambulatorio rene policistico dell’ospedale San Raffaele. “Recluteremo pazienti molto selezionati – precisa l’esperto – Fra i criteri di arruolamento servono una diagnosi di rene policistico autosomico dominante e un’età non superiore a 55 anni, inoltre verranno valutati alcuni parametri relativi alla funzione renale e alle dimensioni dell’organo. Se non dovessimo riuscire a reclutare tutti i pazienti necessari faremo ricorso alla casistica dell’ospedale di Montichiari nel Bresciano e del Policlinico di Modena. La sperimentazione sarà condotta al San Raffaele e durerà circa 4 mesi, anche se ogni singolo paziente verrà trattato per non più di 2 settimane“.
Proprio nei giorni scorsi l’Irccs del capoluogo lombardo ha annunciato su ‘Scientific Reports‘ la messa a punto della prima mappa genetica del rene policistico. All’origine della patologia ci sono difetti dei geni PKD1 e PKD2, ma ora gli studiosi meneghini hanno stabilito la correlazione fra tipo di mutazione (oltre 700 quelle censite, di cui più di 450 scoperte ex novo), aggressività e precocità della malattia. Contemporaneamente alla comprensione sempre più profonda dell’Adpkd, la ricerca targata San Raffaele si muove dunque per sviluppare un nuovo possibile trattamento dopo la recente approvazione del primo medicinale specifico per il rene policistico, il tolvaptan. “Rispetto al quest’ultimo – chiarisce all’AdnKronos Salute Boletta, direttrice della Divisione di Genetica e Biologia cellulare del San Raffaele – il 2DG agisce con un altro meccanismo d’azione e potrebbe essere più tollerato“.
Se dovesse superare le fasi II e III, arrivando alla registrazione e all’autorizzazione, per il rene policistico si profilerebbe quindi “una possibile terapia di combinazione, più efficace“. I primi pazienti sui quali potrebbe essere impiegato, ipotizza Magistroni, sarebbero con ogni probabilità quelli con una patologia più progressiva. Il 2DG fa leva sulla ‘fame di zucchero’ che caratterizza il rene policistico. “Quando si ha una mutazione in uno dei due geni PDK – riferisce Boletta – le cellule difettose sviluppano una dipendenza naturale e completa dal glucosio: se noi togliamo lo zucchero, loro muoiono. Per mimare in vivo questa deprivazione abbiamo pensato di utilizzare il 2DG, una molecola identica al glucosio in tutto tranne che per la mancanza di un ossigeno“. Uno zucchero non zucchero che prende ‘per la gola’ le cellule malate: “Scambiandolo per glucosio lo captano avidamente, ma poi non possono usarlo” e così deperiscono. “Nei tumori questo approccio non ha funzionato bene – ricorda la ricercatrice – ma il rene policistico è una malattia molto diversa” e nei topi le cisti renali ci sono cascate. “La nostra speranza è che lo facciano anche nell’uomo, smettendo di crescere o” addirittura suicidandosi “arrivando alla morte per apoptosi“.