Ricerca: tutti o nessuno, così i bimbi imparano a parlare di quantità

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Prima ‘tutti’, poi ‘nessuno’ o ‘alcuni’, infine ‘la maggior parte’. E’ proprio in quest’ordine che i bimbi di tutto il mondo, indipendentemente dalla loro lingua madre, imparano le espressioni che indicano le quantità. La sequenza di apprendimento è la stessa a ogni latitudine, e gli scienziati sospettano che “un ordine predicibile universalmente” possa valere anche per altri aspetti del linguaggio. E’ quanto emerge da uno studio internazionale pubblicato su ‘Pnas’, al quale ha partecipato anche l’università degli Studi di Milano-Bicocca. L’indagine, coordinata in Bicocca da Maria Teresa Guasti e Mirta Vernice del Dipartimento di Psicologia -riferiscono dall’ateneo- ha coinvolto 768 bambini di 5 anni e 536 adulti, per un totale di 31 lingue madri, dimostrando che i cosiddetti quantificatori (le parole che indicano delle quantità, come tutti e alcuni), pur non avendo un ordine naturale preciso come avviene per i numeri, vengono appresi dai piccoli nello stesso ordine a prescindere dalle rispettive lingue. Gli autori sono arrivati a questa conclusione dopo circa un anno e mezzo di lavori sperimentali, durante i quali i partecipanti dovevano dire se una frase come “tutte le scatole contengono una mela” descriveva in modo corretto o meno un’immagine raffigurante delle scatole contenenti o meno una mela. Il numero di risposte corrette (associazione frase-figura corretta), indipendentemente dalla lingua parlata, era maggiore per le frasi contenenti la parola ‘tutti’; seguivano quelle ‘alcuni’ e ‘nessuno’, e infine quelle con ‘la maggior parte’. Gli scienziati ritengono “plausibile l’estensibilità dei risultati raccolti anche ad altri aspetti del linguaggio, comprovando l’esistenza di leggi universali che ne regolano il processo di acquisizione. Questo consentirebbe di predire universalmente l’ordine di acquisizione di aspetti specifici delle lingue“. “In una società multietnica come quella attuale – dichiara Guasti, ordinario di glottologia e linguistica – risulta estremamente difficile individuare deficit linguistici in bambini stranieri, ma da questa scoperta si può partire per mettere a punto strumenti diagnostici validi per ogni lingua e dunque applicabili a tutti i contesti“. Secondo gli esperti, questo in futuro avrà ripercussioni importanti sulla diagnosi dei disturbi linguistici, poiché consentirà di comprendere meglio le difficoltà di apprendimento di bimbi in corso di integrazione in società diverse da quelle di origine, e aiuterà a progettare percorsi di apprendimento trasversali per società multietniche. La ricerca, co-finanziata dall’Unione europea nel quadro dei programmi di cooperazione nella ricerca scientifica e tecnologica, è stata diretta da Napoleon Katsos dell’università di Cambridge, che ha coordinato un gruppo di circa 50 studiosi in tutto il mondo.

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