Dalla Sicilia a Varese, dalla Puglia ad Aosta, dalla Campania a Todi. E’ ancora – quasi sempre – da Sud a Nord il viaggio dei giovani italiani con disordini del comportamento alimentare in cerca di cure, e delle loro famiglie. Ragazze e ragazzi fragili, magrissimi, per i quali i trattamenti nei centri diurni non hanno funzionato, e che dopo una serie di ricoveri in ospedale non sanno a chi rivolgersi. A causa della carenza di centri residenziali specializzati sul territorio, il loro viaggio può essere anche di migliaia di chilometri. “Da noi il 60-65% dei pazienti viene da fuori regione: dalla Sicilia, dalla Puglia, dalla Campania, dal Lazio, qualcuno anche da Trentino“, spiega all’Adnkronos Salute Leonardo Mendolicchio, direttore sanitario di Villa Miralago a Cuasso al Monte (Varese). La sua è una struttura privata convenzionata che, come dice il nome, guarda il lago (di Lugano) ed è immersa nel verde. Dal 2009 accoglie persone spesso giovanissime o addirittura bambini, che soffrono di anoressia, ma anche bulimia, disturbo da alimentazione incontrollata e obesità. Come il Centro Dca dell’azienda Usl della Valle d’Aosta o i Centri per i disordini alimentari (Dca) della Usl 1 dell’Umbria Todi e Città della Pieve, quella di Varese è una delle strutture residenziali riabilitative con un approccio integrato e multidisciplinare fra le più note in Italia. “Abbiamo 55 letti, di cui 15 riservati ai pazienti dai 13 anni in poi, che seguiamo con un’equipe specializzata e multidisciplinare H24. Si tratta di patologie complesse da trattare e con numeri crescenti: oggi ci confrontiamo con pazienti sempre più giovani e sempre più gravi. E i maschi prima molto rari sono in aumento“, spiega Mendolicchio. Oltre a spostamenti impegnativi, che sovente coinvolgono anche la famiglia, e alla talvolta farraginosa burocrazia per ottenere il nulla osta della regione di riferimento, i pazienti da fuori regione rischiano anche di incappare nell’interruzione delle cure per problemi di budget. “Attualmente abbiamo quattro pazienti dal Lazio. Di questi, due rischiavano di dover interrompere il trattamento proprio per questo motivo. Ma poche ore fa la Asl di riferimento ci ha comunicato il via libera: sono coperti fino a fine anno. Una bella notizia“, evidenzia Mendolicchio. Diverso il caso dei due pazienti per i quali la prima fase di ricovero nella struttura sul lago finirà tra ottobre e novembre: “Finora non ci hanno dato speranze: se le cose non cambiano, andranno via a metà percorso, con il rischio di vanificare quanto ottenuto“, dice Mendolicchio. Burocrazia, strutture specializzate ‘a macchia di leopardo’ e regioni alle prese con i piani di rientro: ecco gli ingredienti che rendono un’odissea il viaggio di questi giovanissimi pazienti, costretti a spostarsi da casa “perché lì vicino non ci sono strutture adatte a rispondere ai loro bisogni. Noi cerchiamo di aiutarli nel percorso autorizzativo, illustrando agli interlocutori i motivi che ci portano talvolta a chiedere di prolungare un trattamento, ma questo non sempre funziona“. Anche avere il nulla osta al primo ricovero fuori regione non è sempre semplice, e questo nonostante vicino casa manchino strutture analoghe: “Talvolta le Asl fanno aspettare anche dei mesi per i preliminari di ricovero. Un’attesa che rischia di pesare moltissimo su questi ragazzi così fragili“, conclude il direttore sanitario. (AdnKronos)