Il terremoto di Città del Messico del settembre 1985 stupì e fece interrogare la comunità scientifica: normalmente infatti i danni si distribuivano in maniera più o meno concentrica intorno all’epicentro, diminuendo man mano che ci si allontanava dal luogo del terremoto. Nonostante la potenza del terremoto del 19 settembre però – sisma che infatti venne avvertito fino al Texas e al Guatemala –destava stupore il fatto che i danni maggiori fossero avvenuti a quasi 400 km dall’epicentro. Inoltre, ci si domandava, come mai se Città del Messico era stata così colpita, città come Guadalajara o Oaxaca, situate più o meno alla stessa distanza l’una al nord e l’altra al sud non avevano subito danni? E come mai molti centri situati fra la costa Pacifica e Città del Messico erano rimasti intatti?
Dopo numerosi studi, emersero i primi risultati, che oggi sono un dato conosciuto e acquisito dalla comunità scientifica. In sostanza le onde sismiche generate dal terremoto avevano subito un’amplificazione, dovuta alle particolari caratteristiche del sottosuolo cittadino e alla morfologia locale.
La città sorge infatti in un bacino montano di forma concava, riempito da sedimenti alluvionali di tipo lacustre. Fino a poche migliaia di anni fa al posto di Città del Messico sorgeva il Lago Texcoco, sulle cui sponde progredì l’impero atzeco. I sedimenti lasciati dal lago, molto più “soffici” e incoerenti rispetto alle rigide rocce vulcaniche che bordano la valle, hanno amplificato enormemente le onde sismiche giunte fin lì dalla costa Pacifica. Ciò è dovuto alla diminuzione di velocità delle onde sismiche superficiali, che attraversando terreni incoerenti rallentano, aumentando però in ampiezza e causando quindi maggiori danni. Inoltre il rallentamento delle onde causa anche un aumento nella durata del sisma.
Un altro fenomeno che avvenne a Città del Messico e che aumentò ulteriormente la distruttività del sisma fu quello della doppia risonanza: in sostanza il terreno e le strutture costruite dall’uomo iniziarono a oscillare alla stessa frequenza, che è la situazione peggiore in assoluto per la resistenza di strutture in cemento armato.
Infine la struttura morfologica del bacino in cui sorge la città, di forma concava e chiuso ai bordi da catene montuose, ha fatto si che le onde sismiche abbiano rimbalzato ai bordi percorrendo in lungo e in largo la valle più volte, un po’ come accade quando in una bacinella piena di acqua si creano delle onde ed esse iniziano a rimbalzare a ogni lato sovrapponendosi e sommandosi fra loro.
Le conoscenze acquisite dallo studio del terremoto di Città del Messico, insieme a quelle di altri gravi terremoti avvenuti negli anni a seguire, hanno permesso di sviluppare il concetto di Risposta Sismica Locale: in sostanza le onde sismiche possono subire modifiche dell’ampiezza, della durata e della frequenza a seconda del tipo di terreno che attraversano localmente. È per questo che vengono redatte anche in Italia le carte di microzonazione sismica, che oltre a prendere in considerazione la probabilità che un terremoto colpisca una determinata area negli anni a venire, prende in esame il grado di amplificazione che quel terremoto può subire a seconda della geologia e della geomorfologia locale.
Un esempio di comportamento diverso delle onde sismiche a seconda dei terreni attraversati è stato ben visibile anche nel terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009: nell’area colpita infatti, i paesi che sorgevano su sedimenti alluvionali (come Onna) subirono una distruzione molto peggiore dei paesi costruiti sulla roccia.