Che la crosta terrestre in Italia si muova continuamente sotto l’azione delle placche continentali africana ed euroasiatica, causando terremoti anche disastrosi, non è cosa nuova. Ma riuscire a individuare la posizione e l’entità dei movimenti legati ad una singola faglia lunga pochi chilometri che si rompe durante un terremoto, è un risultato di particolare significato per migliorare le conoscenze sulla pericolosità sismica di una regione.
Lo spiega l’INGV sul blog terremoti con un articolo a cura del Gruppo di Lavoro INGV-CNT Centro Analisi Dati GPS: Marco Anzidei, Antonio Avallone, Adriano Cavaliere, Giampaolo Cecere, Daniele Cheloni, Nicola D’Agostino, Ciriaco D’Ambrosio, Roberto Devoti, Alessandra Esposito, Luigi Falco, Alessandro Galvani, Grazia Pietrantonio, Federica Riguzzi, Giulio Selvaggi, Vincenzo Sepe, Enrico Serpelloni.
La deformazione permanente della crosta terrestre causata dal terremoto di magnitudo 6 che ha colpito la zona dell’Appennino tra Norcia e Amatrice lo scorso 24 agosto è stata misurata, oltre che dai satelliti con le tecniche radar, anche da stazioni GPS collocate a terra in un’ampia regione dell’Italia centrale. Tali stazioni appartengono alla Rete Integrata Nazionale GPS dell’INGV, all’ISPRA e al Dipartimento della Protezione Civile. Sono inoltre presenti caposaldi di reti GPS non permanenti, come la CA-GeoNet dell’INGV e l’IGM95. Altri dati GPS sono stati forniti dalle reti GNSS della Regione Abruzzo, Regione Lazio, ItalPos, NetGeo, Regione Umbria, ASI ed Euref. Le stazioni acquisiscono continuamente dati sulla loro posizione grazie ai segnali radio inviati dalla costellazione di satelliti USA in orbita intorno alla terra 24 ore al giorno da oltre 20 anni (GPS, Global Positioning System). Gli spostamenti del suolo registrati in ciascuna stazione sono stati calcolati dall’INGV analizzando i dati con differenti software scientifici (in particolare Bernese, Gamit e Gipsy) e successivamente combinati per fornire un unico risultato finale. Gli spostamenti sono stati calcolati come differenza tra le posizioni giornaliere delle stazioni nei giorni precedenti e successivi al terremoto. In questo modo sono stati ottenuti gli spostamenti massimi registrati nelle singole stazioni, compresa quella posta ad Amatrice che è la più vicina all’epicentro della scossa del 24 agosto, con un errore massimo di pochi millimetri (vedi figura sotto e il sito della Rete Integrata Nazionale GPS per maggiori dettagli sulle reti GPS presenti e i dati di spostamento cosismico alle singole stazioni).
Le analisi preliminari basate sulle sole stazioni GPS attive al momento del terremoto mostrano che questo è stato generato da una faglia lunga oltre 18 km e inclinata di circa 50 gradi, che corre con direzione nord-nordovest – sud-sudest e che si immerge verso ovest al di sotto dell’Appennino. Il movimento di questa faglia ha causato un’estensione della catena appenninica di circa 3-4 centimetri tra il Tirreno e l’Adriatico.
Le registrazioni GPS ad alta frequenza (da 1 a 10 Hz) disponibili per alcune stazioni, mostrano chiaramente il passaggio delle onde sismiche e il conseguente movimento dinamico del suolo.
In aggiunta a queste stazioni, che si trovano in gran parte in un’area più lontana dall’epicentro (far field), nell’area compresa tra Norcia e L’Aquila sono presenti oltre 120 caposaldi geodetici della Rete GPS Central Apennine Geodetic Network (CA-GeoNet), realizzata tra il 1999 e il 2000 dall’INGV proprio per studiare in dettaglio i movimenti delle faglie presenti in questa regione. Una parte di questi caposaldi si trova proprio nella zona epicentrale (near field). Questi dati permetteranno di ottenere nei prossimi giorni una immagine molto precisa sulla caratteristiche delle deformazioni avvenute nell’area più vicina all’epicentro (near field), non solo durante il terremoto, ma anche nella fase pre- e post-sismica. La figura sotto mostra una simulazione degli spostamenti cosismici attesi ai caposaldi di questa rete da un modello di faglia come quello descritto.
I dati GPS acquisiti durante il terremoto del 24 agosto, come in occasione degli ultimi più forti terremoti italiani (Umbria-Marche nel 1997, Molise nel 2002 e L’Aquila nel 2009),permetteranno di comprendere sempre meglio l’evoluzione spazio-temporale delle deformazioni del suolo misurabili in superficie, in fase cosismica e inter-sismica, in vicinanza di faglie capaci di generare forti terremoti. L’analisi congiunta dei dati GPS con dati spaziali InSAR (vedi l’articolo del 30 agosto “La sequenza sismica in Italia centrale: un primo quadro interpretativo dell’INGV”), permetterà nei prossimi giorni di fornire un quadro originale e dettagliato delle deformazioni del suolo e delle caratteristiche della faglia, contribuendo a disegnare con sempre maggiore dettaglio il livello di pericolosità sismica dell’Appennino.