Il Nobel in fisica alla scoperta delle onde gravitazionali si fa attendere. Gli studi su questo nuovo tipo di messaggero cosmico, catturato per la prima volta nel settembre 2015, intanto, proseguono.
Una delle ipotesi circolate all’indomani dell’annuncio della scoperta, nel febbraio 2016, attribuiva l’emissione di onde gravitazionali non ai buchi neri, ma alle cosiddette gravastar. Oggetti cosmici che ricordano in tutto e per tutto i buchi neri ma che, a differenza di questi ultimi, non imploderebbero su loro stessi, per la presenza all’interno di forze repulsive.
Adesso, uno studio pubblicato su Physical Review D, condotto da Luciano Rezzolla, della Goethe University Frankfurt, in Germania e Cecilia Chirenti, della Federal University of ABC di Santo André, in Brasile, sembra smentire il coinvolgimento delle gravastar.
Secondo lo studio, ha quindi ragione chi ha sempre detto e scritto che a generare queste vibrazioni del tessuto dello spazio-tempo, giunte fino a noi alla velocità della luce dopo un lungo viaggio di circa un miliardo e mezzo di anni, sia stata la danza frenetica di due buchi neri circa 30 volte più massicci del Sole. Una danza conclusasi in un abbraccio finale, che ha scosso la trama del Cosmo attraverso il fremito delle onde.
La teoria delle gravastar – in contrasto con l’idea di una stella che collassa fino a diventare un oggetto di densità infinita, generando così una singolarità – afferma che, quando un oggetto va incontro a collasso gravitazionale, nella regione di spazio in cui si trova si determina una transizione di fase quantistica che argina il collasso finale. La stella si trasformerebbe così, il condizionale è d’obbligo trattandosi di un’ipotesi teorica, in una bolla sferica di energia oscura, la misteriosa energia che permea circa il 70% del Cosmo.
Anche le gravastar risuonerebbero come campane, emettendo onde gravitazionali. Ma in un modo e con dei toni differenti rispetto a quelli dei buchi neri. Ed è su queste differenze che si sono concentrati gli studiosi. “Le frequenze del cosiddetto ringdown rappresentano la firma della fonte delle onde gravitazionali. Come differenti campane, che emettono suoni diversi”, spiega Cecilia Chirenti.
Gli studiosi – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – hanno confrontato le frequenze catturate dai due interferometri gemelli della Collaborazione LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) con dei modelli teorici che ricostruiscono l’aspetto del “ringdown”, qualora ad emettere le onde fossero state due gravastar. E i segnali non combaciano, come le note emesse da due tasti diversi di un pianoforte.
“Come fisico teorico, sono sempre stato aperto a nuove idee, non importa quanto esotiche. Ma – sottolinea Luciano Rezzolla –, i progressi nella fisica hanno luogo quando le teorie sono confermate dagli esperimenti. E in questo caso – conclude lo studioso –, l’idea delle gravastar semplicemente non corrisponde alle osservazioni”.