Sventola una bandiera tricolore sulle pietre miliari che hanno segnato – e stanno ancora segnando – la storia di una malattia del sangue molto complessa: la policitemia vera, neoplasia mieloproliferativa cronica dovuta a un’alterazione delle cellule del midollo osseo, che porta a una proliferazione incontrollata prevalentemente dei globuli rossi. A ricostruire le svolte che si sono susseguite nella ricerca, e il contributo della scienza ‘made in Italy’, sono proprio alcuni degli ematologi del Belpaese che hanno dedicato in prima persona anni di studi alla malattia e che sono parte di questa storia.
“Da buon italiano, devo dire che la ricerca tricolore è stata estremamente importante in questo settore“, evidenzia Alessandro Maria Vannucchi, professore associato di Ematologia dell’università degli Studi di Firenze, oggi a margine di un simposio scientifico sulle malattie mieloproliferative croniche, organizzato nell’ambito del XIV Congresso nazionale della Società italiana di ematologia sperimentale (Sies), in corso fino a domani a Rimini. Un contributo che affonda le sue radici “indietro negli anni. In Italia c’è sempre stato un forte gruppo e una forte sinergia fra le diverse scuole ematologiche nel settore specifico delle malattie mieloproliferative croniche – dice l’ematologo – E l’Italia ha certamente segnato alcuni dei momenti più importanti, prima nella conoscenza dei meccanismi di base della patologia, contribuendo anche alla scoperta della mutazione del gene Jak2“, presente nel 95% circa dei pazienti con policitemia vera e in diverse percentuali in altre patologie della stessa famiglia.
E poi, prosegue Vannucchi, sempre gli specialisti italiani hanno avuto un ruolo importante “segnando alcuni aspetti fondamentali nella gestione terapeutica dei pazienti. E’ di gestione italiana lo studio europeo che ha stabilito l’importanza dell’aspirina a basse dosi nella prevenzione degli eventi trombotici. E’ tutto italiano e non profit, quindi del tutto indipendente, lo studio che ha stabilito il valore di ematocrito del 45% come miglior livello da mantenere“. Più di recente c’è il contributo agli studi su una nuova target therapy, “ruxolitinib, un farmaco inibitore di Jak1 e Jak2, che ha come bersaglio molecolare appunto la mutazione presente pressoché in tutti i pazienti con policitemia vera“, spiega Francesco Passamonti, professore di Ematologia dell’università dell’Insubria di Varese.
Gli studi, condotti su malati con policitemia vera resistenti o intolleranti all’idrossiurea, terapia di prima linea, “si chiamano Response e Response-2 e – racconta lo specialista – sono un po’ un vanto italiano: Vannucchi è primo autore del paper pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’ nell’aprile dell’anno scorso sullo studio Response, e io stesso ho in corso di pubblicazione su ‘Lancet Oncology’, a breve, un paper sul Response-2“.
In queste malattie dunque, ribadisce Passamonti, l’Italia “è leader da tantissimi anni. Tiziano Barbui, di Bergamo, è stato fra i primi esperti più importanti che hanno lavorato sulla policitemia vera. Sul fronte della ricerca, sia dal punto di vista degli aspetti biologici che dal punto di vista terapeutico, abbiamo dato un contributo notevole sia sulla policitemia che sulla mielofibrosi. Vi sono tanti centri, come quello di Bologna, e i centri romani e di tutta Italia, che hanno contribuito moltissimo all’arruolamento dei pazienti, con la missione di cambiare la storia di questi malati e di una patologia che ha tutti i problemi delle malattie rare, ma per la quale abbiamo per fortuna identificato le basi molecolari. Un traguardo che – conclude – ha favorito lo sviluppo di una personalizzazione della cura“. (AdnKronos)