Circa il 25-30% degli ictus ischemici che si verificano sono di origine sconosciuta e per questo chiamati ‘criptogenici‘. La definizione criptogenico indica un ictus in cui esiste la dimostrazione della sua natura ischemica, ma la ricerca delle cause è negativa e sconosciuta perché transitoria e reversibile o perché non ben indagata. Recenti ed importanti studi hanno dimostrato che nel 30-40% degli ictus criptogenici c’è anche Fibrillazione Atriale (FA). Quest’alterazione del ritmo cardiaco è quindi un importante fattore indipendente di ictus e delle sue recidive: il paziente con FA ha un rischio fino a 5 volte superiore di incorrere in un evento ischemico, inoltre l’ictus ischemico associato a FA ha probabilità doppia di essere fatale rispetto ad un evento in assenza di FA. Il problema però è che nella maggior parte dei pazienti questa aritmia è del tutto asintomatica, il che la rende subdola e più temibile. La prevalenza della fibrillazione atriale (FA) nella popolazione generale è variabile e progressiva in relazione all’età. La popolazione dello studio Framingham aveva una prevalenza di FA dello 0,5% tra i 50 e i 59 anni e del 9% tra gli 80 e gli 89 anni. La FA, inoltre, è un’aritmia cronica e spesso progressiva: gli episodi iniziali sono spesso parossistici, ma col passare del tempo diventano persistenti e poi permanenti.
A seguito di un ictus criptogenico, la terapia con anticoagulanti orali viene indicata solo in caso di presenza di fibrillazione atriale, con lo scopo di prevenire “recidive” ovvero un possibile secondo evento di ictus, evento che interessa circa 35mila pazienti ogni anno. E’ dunque fondamentale diagnosticare la fibrillazione atriale per evitare un possibile ulteriore evento di ictus. Questo è oggi possibile attraverso sistemi avanzati in grado di registrare in continuo l’attività cardiaca del paziente. Eppure, nonostante la disponibilità di questi dispositivi, solo il 5% dei pazienti con ictus criptogenico riceve un sistema impiantabile per il monitoraggio cardiaco, sebbene le linee guida ESC 2016 (European Society of Cardiology – società europea di cardiologia) raccomandino l’impianto in tutti i pazienti che abbiano avuto un episodio di ictus criptogenico.
I sistemi impiantabili per il monitoraggio cardiaco continuo, chiamati Implantable Loop Recorder (ILR) possono monitorare il ritmo cardiaco del paziente continuamente per oltre 3 anni e, grazie al progresso tecnologico, le loro dimensioni attuali arrivano ad essere talmente minime che, in pochi minuti, il dispositivo viene “iniettato”, mediante una procedura ambulatoriale, con una speciale siringa appena sotto la pelle del paziente, lasciando un’incisione inferiore ad un centimetro. Una volta a casa, un dispositivo esterno localizzato presso l’abitazione del paziente, trasmette tutti i giorni i dati dell’elettrocardiogramma al medico di riferimento consentendo così l’individuazione in tempo reale di un’eventuale aritmia atriale. Come facilmente è intuibile, più è lungo il periodo di monitoraggio del ritmo cardiaco, maggiore è la possibilità di scoprire eventuali episodi di fibrillazione atriale nascosti, e iniziare quindi la terapia farmacologica corretta che permette di prevenire possibili recidive di ictus. In Inghilterra, ad esempio, è stato stimato che ogni 20 monitor cardiaci impiantati è possibile evitare una recidiva di ictus e risparmiare quindi i costi ad esso associati, costi che impattano sia il sistema sanitario nazionale, sia sulla vita e la sua qualità del paziente.