Una malattia che compromette le prestazioni sociali di persone giovani, nel pieno della vita lavorativa e produttiva, alterando gli equilibri anche all’interno delle famiglie: ancora oggi il ‘peso’ maggiore ricade sulla persona che assiste, il caregiver, quasi sempre un familiare, che tra i suoi compiti assistenziali deve anche spesso ricordare al paziente di assumere la terapia. E’ il profilo della schizofrenia che emerge dalla ricerca ‘Addressing misconceptions in schizophrenia’, realizzata da Janssen su pazienti e caregiver, e presentata oggi a Milano in occasione di un incontro che ha fatto il punto sulle attività del progetto ‘Triathlon – indipendenza, benessere, integrazione nella psicosi’, che proprio in Lombardia inaugura una nuova fase con il lancio delle iniziative legate alla dimensione sociale del progetto, finalizzate al reinserimento del paziente. La metà (50%) dei pazienti italiani che hanno partecipato all’indagine ha un’età compresa fra 31 e 50 anni, il 35% fra 18 e 30 anni; di conseguenza anche i caregiver sono persone giovani nel pieno della loro vita (il 72% ha tra 28 e 50 anni), che si trovano a dover gestire da sole l’assistenza, i trattamenti e l’impatto della malattia schizofrenica sulle attività quotidiane del paziente. Dalla ricerca emerge che la preoccupazione maggiore dei caregiver riguarda proprio quest’ultimo aspetto: il 63% degli intervistati teme gli effetti ‘destabilizzanti’ della malattia sul corso ordinario delle attività e si mostra preoccupato per il lavoro, lo studio e le attività sociali del paziente. L’indagine sottolinea una volta di più l’importanza di intervenire ‘presto e bene’, obiettivo oggi possibile grazie all’approccio integrato di cura e all’evoluzione delle risorse farmacologiche. “I dati che emergono da questa indagine fanno capire quanto sia importante intervenire tempestivamente, oggi più che mai – commenta Claudio Mencacci, presidente Società italiana di psichiatria (Sip) – Dati recenti ci dicono che questi pazienti arrivano nei Dipartimenti di Salute mentale dopo un periodo medio di 7 anni: troppi, se consideriamo che in un periodo così lungo la malattia peggiora, con conseguenze sulle condizioni del paziente e sulla qualità di vita del paziente stesso e della sua famiglia. Inoltre, un intervento efficace dovrebbe essere coordinato e integrato tra le parti: solo così può portare a una reale riabilitazione e al reinserimento nella società”. Proprio per rispondere a queste esigenze, nei mesi scorsi è stato lanciato il progetto Triathlon, promosso da Janssen in partnership con Sip, Società italiana di psichiatria biologica (Sipb), Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf), Fondazione progetto Itaca Onlus, Onda (Osservatorio nazionale sulla Salute della donna) e Federazione italiana Triathlon (Fitri). Un programma innovativo per promuovere il recupero e il reinserimento dei pazienti attraverso un approccio integrato, basato sul coinvolgimento di tutte le figure chiave dell’assistenza, lungo tre dimensioni fondamentali – clinica, organizzativa e sociale – che da febbraio a oggi ha già coinvolto numerosi Dsm-Dipartimenti Salute mentale sul territorio. “Per la prima volta abbiamo numeri veramente importanti per un progetto di questo respiro – spiega Antonio Vita, professore ordinario di psichiatria all’università degli Studi di Brescia e direttore dell’Unità operativa di Psichiatria 20 dell’Asst Spedali Civili di Brescia – Nel biennio 2016-2017 sono 40 i Dsm partecipanti, che rappresentano il 20% del totale (in pratica un Dsm su 5 viene toccato dal progetto), e circa 3.000 operatori sanitari coinvolti. Possiamo affermare senza dubbio che la capillarità è l’ulteriore elemento di valore e novità di Triathlon. Sono state coinvolte quasi tutte le regioni italiane, compatibilmente con l’estensione del territorio, della popolazione e dei servizi. Alla fine del 2016 si saranno svolti 60 eventi formativi e altrettanti se ne terranno nel 2017”. Il progetto Triathlon è stato fortemente voluto da Janssen, azienda impegnata nella Salute mentale e nella cura delle patologie psicotiche. “Tra le nostre innovazioni ci sono sicuramente quelle che hanno cambiato il paradigma terapeutico di questi disturbi nel corso della storia della medicina. Così come oggi stiamo studiando nuove soluzioni che speriamo possano rappresentare, nel prossimo futuro, passi in avanti altrettanto importanti”, dichiara Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato Janssen Italia.