La difesa del Pianeta ha un costo pesantissimo, in termini di vite umane, tra quanti, nei movimenti ambientalisti e nelle popolazioni indigene, lottano in tutto il mondo per tutelare le proprie terre e la natura. ”Ogni anno nel mondo muoiono oltre 700 tra gli attivisti dei movimenti ambientalisti. Il 12% dei conflitti ambientali nel mondo provoca almeno una vittima e nel 2015 sono stati uccisi tre ambientalisti a settimana”, dichiara Joan Martinez Alier, economista all’Università Autonoma di Barcellona, intervenuto al Forum Internazionale per l’Informazione ambientale organizzato dall’associazione Greenaccord a Frosinone. Numeri che nascono da quelli che Martinez Alier definisce ”conflitti di distribuzione socio-ecologica che portano a un accesso poco equo delle risorse naturali, generando quei movimenti di ambientalismo dei poveri e degli indigeni evidenziati anche dall’enciclica di papa Francesco”. L’economista ha presentato il lavoro svolto da enti di ricerca, atenei e associazioni ambientaliste che hanno realizzato una mappatura dei conflitti ambientali presenti sulla Terra, visibile sul sito www.ejatlas.org. ”Abbiamo raccolto almeno 1880 casi di conflitti ambientali nel mondo che evidenziano un’emergenza di giustizia ambientale a cui bisogna rispondere creando meccanismi di tutela per chi vuole proteggere la Terra”. Dati che dimostrano quanto cruciale sia il ruolo dei “climate savers”, le ‘sentinelle del clima’ che, in molti luoghi del pianeta, sono le popolazioni indigene, spesso protagoniste di storie di ordinaria ingiustizia alle quali il Forum Greenaccord ha dedicato una sessione dei lavori. È il caso, ad esempio, del popolo indigeno americano dei Navajo, raccontato nella testimonianza di Wahleah Johns, coordinatrice del Solar Project della Black Mesa Water Coalition. Dal punto di vista etnico, i Navajo appartengono all’insieme delle nazioni Apache stanziate dal 1500 in un vasto territorio che si estende dall’Arizona al Texas occidentale e dal Colorado al nord del Messico. ”In America, esistono 500 tribù aggrappate alla propria terra. Quella dei Navajo è composta da 110 comunità che vivono in zone estremamente rurali, nelle quali il 40% della popolazione non ha accesso all’acqua corrente e 20mila abitazioni non sono collegate alla rete elettrica”. ”Le popolazioni indigene abitano terre che ospitano l’80% della biodiversità del mondo, ma quelle terre ospitano anche l’80% delle risorse fossili”, spiega Johns, sottolineando l’esigenza di avere ”politiche volte a un miglioramento climatico capaci di coinvolgere le popolazioni indigene nei processi decisionali”. Conflitti ambientali spesso si traducono in vere e proprie emergenze umanitarie, come nel caso delle popolazioni della regione Chittagong Hill Tracts del Bangladesh. Qui, come spiega Mrinal Kanti Tripura, direttore della Maleya Foundation, è in corso ”una vera e propria appropriazione di terre attraverso la militarizzazione”. Diritti calpestati anche in Honduras, come racconta Gaspar Sanchez, rappresentante del Copin (consiglio civico delle popolazioni indigene), che riunisce 250 comunità lenca: ”Nelle terre abitate dalle nostre comunità, il governo ha approvato 50 progetti idroelettici, tra i quali la costruzione della diga sul Rio Gualcar”. (AdnKronos)