Cresce la sharing economy in Italia, con un numero sempre più ampio di mercati in grado di coglierne il potenziale di innovazione: dalla casa ai trasporti, dal turismo al welfare, dalla finanza alla mobilità, passando per cultura, lavoro, scienza. Nel 2016, le piattaforme italiane di sharing economy (comprese quelle internazionali con sede in Italia) sono arrivate a quota 138, 68 quelle di crowdfunding, per un totale di 206. Rispetto alle 187 complessive del 2015, l’incremento è del 10%.
E’ questa la fotografia che emerge da due studi (“Mappatura piattaforme collaborative” e “Report sulle piattaforme di crowdfunding”), presentati in occasione di Sharitaly 2016, appuntamento dedicato all’economia collaborativa in programma a Base Milano oggi e domani.
Tra le piattaforme di sharing economy censite, quelle cresciute di più rispetto allo scorso anno sono quelle relative ai trasporti (il 18% delle piattaforme analizzate), servizi alle persone (16,6%), servizi alle imprese (8,7%), cultura (9,4%), mentre rimane sostanzialmente invariato turismo (12%).
Nonostante l’incremento dell’offerta, la domanda ha ancora molti margini di crescita. Il 51% delle piattaforme di sharing ha un numero di utenti inferiore a 5mila. In compenso, l’11% ne registra però oltre 100mila, un numero che inizia a permettere alle piattaforme di innescare circoli virtuosi. Lo stesso vale per le piattaforme di crowdfunding: il 49% ha un numero di donatori inferiore a 500 mentre il 9% supera i 50mila. D’altra parte, le piattaforme di sharing italiane sono ancora molto giovani, la maggior parte ha poco più di due anni di vita.
Nel 2015 il 20% delle piattaforme sharing raggiungeva più di 30mila utenti, ora sono il 31%. Nel 2015 solo il 35% delle piattaforme di crowdfunding raggiungeva più di 1.000 finanziatori/donatori, adesso l’82%. Mediamente, gli utenti utilizzano le piattaforme sharing per l’83% via internet e per il 17% via app; le piattaforme ‘crowd’ per il 91% via internet e per il 9% via app.
“Quello che stiamo osservando è che i processi collaborativi si stanno diffondendo con velocità e maturità differenti nei diversi mercati – spiega Marta Mainieri di Collaboriamo – A partire dai settori più consolidati come il turismo e i trasporti, si sta verificando un progressivo allargamento della sharing economy verso nuove aree potenziali di business, che includono servizi alle imprese e alle persone, ma anche finanzia, cultura, abitare collaborativo“.
“L’economia collaborativa non è un settore o un modello di business, è un approccio che mette in discussione i rapporti consolidati tra economia e società – aggiunge Ivana Pais dell’Università Cattolica di Milano – In questo momento le piattaforme italiane sono ancora immature ma mostrano una forte attenzione alla dimensione relazionale. E le nostre ricerche hanno permesso di indagare le specificità dei casi di successo, dove l’utilizzo delle piattaforme rafforza il capitale sociale degli utenti”. (AdnKronos)