Un prione mutato in grado di replicarsi in vitro, ma non negli animali, potrebbe aiutare a svelare i meccanismi molecolari che sono alla base di diversi disordini neurodegenerativi fatali, inclusi la malattia di Creutzfeldt-Jakob negli uomini e il morbo della mucca pazza (Bse) nei bovini. E’ proprio questo prione che i ricercatori del Dipartimento di Sanità Pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell’Istituto superiore di sanità, coordinati da Romolo Nonno, sono riusciti ad isolare per la prima volta in laboratorio. La ricerca, uscita su Plos Pathogens, svela una caratteristica strutturale del prione della scrapie fondamentale perché si sviluppi la patologia. “I prioni sono proteine male aggregate che possono “contagiare” altre proteine e danneggiare così il cervello – ha spiegato Nonno – Noi siamo riusciti a riprodurre in vitro un prione mutato, ottenuto da pecore affette da scrapie, un’infezione da prione appunto, della stessa famiglia della Bse, che colpisce gli ovini”. Come gli altri prioni, anche questo si è mostrato in grado di moltiplicarsi in laboratorio. “Tuttavia, quando abbiamo provato ad infettare con questo prione una serie di topi – ha proseguito Ilaria Vanni, coautrice dello studio – nessuno di questi ha mostrato segni patologici. Al contrario di quanto avviene in natura dove la forma non mutata di questo prione è altamente infettante”. L’incapacità del prione mutato di infettare potrebbe essere dovuta alla mancanza di una regione proteica essenziale per l’infezione, presente invece nella forma non mutata. Ulteriori indagini in merito potrebbero contribuire a comprendere meglio le infezioni da prioni e cosa rende queste proteine così mortali, aprendo la strada all’individuazione di nuovi bersagli terapeutici per la cura di queste malattie neurodegenerative.