La sua forza ci tiene ben arpionati al suolo e permette ai pianeti e alle stelle di mantenere la loro posizione. Il suo nome è gravità: interazione fondamentale in fisica, è stata studiata fin dai tempi antichi e ha raggiunto con la relatività einsteiniana la sua formulazione più elegante.
Ma oltre agli effetti maggiormente noti della forza gravitazionale-spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – ne esiste uno altrettanto importante: il potere che la gravità può esercitare sulla luce.
Gli astronomi hanno chiamato questo fenomeno lente gravitazionale, e consiste nella deviazione di una sorgente luminosa in particolari condizioni.
Predetto per la prima volta proprio dalla Teoria della Relatività Generale di Einstein, l’effetto della lente gravitazionale avviene quando la radiazione emessa da una sorgente luminosa viene deviata a causa della presenza di un altro corpo posto tra la sorgente e l’osservatore.
Grazie a questa inaspettata conseguenza della gravità, gli scienziati hanno potuto individuare corpi celesti che altrimenti sarebbero stati impossibili da osservare con i moderni telescopi.
È il caso di un gruppo di galassie attive scoperte qualche anno fa dal South Pole Telescope, tra le più distanti mai osservate.
Ora un nuovo studio coordinato dall’Università della Floridaanalizza una di queste galassie, nome in codice SPT-S J034640-5204.9 (ma si può chiamare semplicemente SPT0346-52).
La sua particolarità sta nel cosiddetto redshift, ovvero quel fenomeno per cui la frequenza della luce, quando osservata in certe circostanze, è più bassa della frequenza che aveva quando è stata emessa. Nel caso di SPT0346-52, il redshift equivale a 5.656: questo significa che, dal momento che la luce può viaggiare solo a una velocità determinata, noi stiamo osservando questa galassia così come doveva apparire quando l’Universo aveva soltanto un miliardo di anni.
Il che rende SPT0346-52 parte della prima popolazione di galassie mai formata nel cosmo, e al tempo stesso una delle più distanti dalla Terra.
I risultati, per ora pubblicati su ArXiv, mostrano che questa galassia lontana è associata a un’intensa luminosità nell’infrarosso: questo è indice di una produzione stellare ancora molto attiva. Così tanto che gli scienziati hanno catalogato SPT0346-52 come galassia starburst.
Con questo termine (che letteralmente significa esplosione di stelle) si intende una regione in cui vi è un tasso di formazione stellare incredibilmente alto per quella determinata regione.
Ecco che l’effetto della lente gravitazionale ci ha permesso di individuare una delle più antiche culle stellari; la sua analisi potrebbe aiutarci a scoprire molte cose su come doveva apparire il nostro giovane Universo.