Miglioramento delle tecniche chirurgiche e anestesiologiche e conseguente riduzione della mortalità, della morbilità e della durata del ricovero ospedaliero a seguito di un intervento. Dotazioni tecniche all’avanguardia e terapie farmacologiche innovative, oltre a un nuovo approccio al percorso perioperatorio di piena collaborazione tra anestesista e chirurgo. Di questo si è parlato nell’incontro di formazione “Antestesiologia: uno sguardo multiprospettico. Le innovazioni metodologiche, le responsabilità del medico e i bisogni dei pazienti”, organizzato da Msd Italia all’Ipse Center (Interactive patient simulation experience) del policlinico Gemelli di Roma. “Ormai si può parlare di tailoring anesthesia, un approccio che prevede il modellamento dell’anestesia come fosse un abito disegnato per rispondere ai fabbisogni specifici del paziente – spiega Giorgio Della Rocca, direttore della clinica di anestesia e rianimazione dell’azienda ospedaliero-universitaria di Udine – Ad esempio, c’è una maggiore attenzione sulla fase del risveglio, che oggi viene gestito e monitorato con grande cautela. Inoltre per ogni paziente viene costruito un protocollo di analgesia post-operatoria con l’obiettivo di prevenire e curare il dolore che si presenta dopo la chirurgia”. Oltre al dolore, spiegano gli esperti, la principale fonte di preoccupazione legate all’anestesia da parte di chi si deve sottoporre a un intervento chirurgico riguarda le possibili complicanze, soprattutto per i pazienti fragili (anziani, bambini, grandi obesi, persone con patologia del sistema cardiocircolatorio e problemi respiratori). Tra queste la sindrome da Curarizzazione residua, che si verifica quando il corpo non riesce ad espellere completamente i miorilassanti assunti con l’anestesia e che comporta difficoltà di respirazione, alterazioni della visione, debolezza e affaticabilità. Negli ultimi anni sono stati resi disponibili farmaci in grado di abbattere i rischi legati alla Curarizzazione residua, in particolare sugammadex, antagonista dei miorilassanti aminosteroidei: “Il farmaco riesce a catturare tutte le molecole di curaro – aggiunge Della Rocca – di incapsularle ed eliminarle completamente, in pazienti con diverse condizioni cliniche, garantendo un completo recupero della funzione neuro-muscolare postoperatoria”. Oggi l’attenzione viene riservata anche ai bisogni legati alla sfera emotiva del paziente, alle sue paure e ai disagi che teme di dover affrontare sottoponendosi ad anestesia: “Ai timori più comunemente legati al doversi sottoporre ad intervento chirurgico si aggiungono, al momento dell’ingresso nel ‘blocco operatorio’, gli effetti sensoriali negativi derivanti da un ambiente estraneo e spersonalizzante”, sottolinea Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani, emergenza area critica, Aaroi-Emac e dirigente medico nell’Unità operativa anestesia e rianimazione degli Spedali civili di Brescia. “I rischi per i pazienti – aggiunge Vergallo – possono essere ridotti con un approccio metodologico di organizzazione del lavoro e di operatività professionale orientata alla prevenzione del rischio clinico. Per quanto riguarda i disagi, la corretta informazione è un’indispensabile condizione per affrontare al meglio le preoccupazioni dei pazienti che vanno sotto i ferri, alle quali un solo professionista è in grado di dare le migliori risposte, che siano al tempo stesso scientifiche e comprensibili: l’anestesista rianimatore”. Nel corso dell’incontro si sono tenuti momenti di interazione virtuale con pazienti in “real time” attraverso la metodologia esponenziale del Cell (Center for experiential learning). I medici in sala, in collegamento con il paziente, hanno risposto a richieste di indicazioni su terapie e decorso post-operatorio e dato rassicurazioni sulle paure legate all’anestesia. Ma oltre a disponibilità di mezzi, terapie innovative e a un approccio basato su una maggiore attenzione verso le esigenze personali, un “elemento imprescindibile per garantire la gestione ottimale del paziente è la collaborazione sinergica tra anestesista e chirurgo”, osserva Antonio Corcione, presidente della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (Siaarti ) e direttore dell’Uoc anestesia e terapia intensiva post-operatoria presso l’azienda ospedaliera Monaldi di Napoli. “Anestesista e chirurgo devono essere alleati dentro e fuori la sala operatoria – aggiunge Corcione – I nuovi device, le nuove opzioni farmacologiche e il monitoraggio anestesiologico sempre più completo e affidabile (profondità dell’anestesia, blocco neuromuscolare, analgesia, emodinamico invasivo e non invasivo) favoriscono questa sinergia perché consentono un più preciso controllo della strategia anestesiologica, di intervenire tempestivamente in caso di complicanze e di supportare e ottimizzare il lavoro del chirurgo che risulta basilare per la sicurezza del paziente”. Secondo Franco Marinangeli, direttore della Scuola di specializzazione in anestesia e rianimazione dell’Università degli studi di L’Aquila, il medico è “debitore qualificato nei confronti del malato. E, come tale, deve essere in grado di applicare le nuove tecnologie ed essere partecipe all’innovazione tecnica e farmacologica. Comunicazione e interazione sono fondamentali se si vogliono ridurre al minimo mortalità e morbilità perioperatorie”. (AdnKronos)