“I condizionamenti politici e ideologici potranno ovviamente influire in modo notevole sul percorso di attuazione dell’Accordo di Parigi, e in particolare la posizione che verrà assunta dalla nuova amministrazione statunitense rispetto alle politiche di contrasto al riscaldamento globale“. Sono queste le conclusioni contenuti nel dossier del Servizio Affari internazionali del Senato sull’Accordo sul CLIMA dopo la Cop22, espresse a fine dicembre nella relazione “Da Parigi a Marrakech. Prospettive dell’Accordo sul CLIMA dopo la Cop 22“.
La Cop 22 di Marrakech “ha generato un clima di fiducia e ottimismo“, ma l’elezione di Donald Trump alla presidenza Usa “ha diffuso un sentimento di incertezza”, spiega il documento. Alla Cop 21 di Parigi si è deciso di fissare come obiettivo comune il contenimento dell’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C. A un anno di distanza da quell’accordo, la Conferenza di Marrakech “ha rafforzato la consapevolezza che esiste una volontà comune a livello globale a sostegno delle politiche climatiche“, si legge nel dossier. “Il futuro delle politiche climatiche si definirà attorno a tre grandi ambiti: i piani climatici nazionali, le regole internazionali e gli investimenti“. Proprio quest’ultimo punto, sottolinea il dossier, è il punto “più critico” dell’Accordo: “sia la dimensione nazionale che internazionale dovrà essere accompagnata da un consistente flusso di investimenti verso le politiche climatiche e l’obiettivo del raggiungimento dei 100 miliardi di dollari annui che alimenteranno il Fondo verde a partire dal 2020 appare oggi come il punto più critico dell’Accordo“.
Ad influire sulla lotta ai cambiamenti climatici, sarà anche la posizione della presidenza statunitense. Donald Trump non ha nascosto infatti il proprio scetticismo in merito. Durante la campagna elettorale aveva anche annunciato che in caso di vittoria non avrebbe rispettato i termini dell’Accordo di Parigi (intanto ratificato dall’amministrazione Obama). Salvo poi fare un mezzo passo indietro, dicendosi “aperto” a mitigare la propria posizione sul tema. Trump ha poi nominato a capo dell’Agenzia per la protezione dell’Ambiente (Epa) il procuratore generale dell’Oklahoma, Scott Pruitt, scettico sui cambiamenti climatici e critico convinto proprio dell’Agenzia che andrà a dirigere. Ma se la futura amministrazione Usa condizionerà fortemente l’esito delle politiche sul CLIMA a livello mondiale, il dossier del Senato evidenzia come gli stessi Usa saranno influenzati dalle azioni che saranno intraprese su scala globale.
“Le azioni per il CLIMA hanno assunto una significativa valenza economica e secondo molti osservatori saranno principalmente le imprese e i mercati a guidare la transizione verso un nuovo modello energetico e di sviluppo, perché le energie rinnovabili, le nuove tecnologie ambientali e le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici sono fattori ormai strategici per l’economia globale“, sottolinea il dossier. “In particolare i Paesi emergenti come Cina, India, Messico, Brasile, Sud Africa e altri stanno investendo molto su questi settori, e un eventuale disimpegno della nuova amministrazione Usa porterebbe conseguenze dannose per l’economia americana“.