NASA: il JPL alla ricerca di impronte di vita aliena nei laghi salati terrestri

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Che cosa hanno in comune le acque di un lago californiano con Marte o Europa, uno dei satelliti galileiani di Giove? Possono aiutare gli scienziati a comprendere come dalla materia inerte si sia evoluta la vita in condizioni estreme. Anche su altri mondi, sia nel Sistema Solare che al di fuori dei suoi confini.

Ad attirare l’attenzione degli scienziati del Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA è, in particolare, il Mono Lake, lago californiano che si trova non distante dal parco nazionale di Yosemite. Dalle sue acque salate emergono particolari formazioni calcaree, che ricordano le guglie di un’architettura gotica.

Questo habitat – spiega l’Agenzia Spaziale Italiana – nasconde le impronte chimiche di alcuni mattoni fondamentali della vita. Indizi che potrebbero condurre ad analoghe forme di vita primitiva su altri pianeti. Gli esperti della NASA hanno perfezionato una tecnica per catturare queste impronte. I risultati della loro ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Analytical Chemistry.

Il metodo d’indagine affinato dagli scienziati del JPL, l’elettroforesi capillare, è 10 mila volte più sensibile di quelli impiegati dal rover-laboratorio NASA Mars Curiosity, e permette di separare una zuppa di molecole organiche nelle sue singole componenti. La tecnica analitica è, in particolare, sensibile agli amminoacidi, i costituenti di base delle proteine.

“Il nostro metodo migliora precedenti indagini, aumentando il numero di amminoacidi che possono essere identificati in un solo esperimento – spiega Jessica Creamer, una delle autrici dello studio -. Ci permette, infatti, di rivelare, in modo semplice e veloce, la presenza di amminoacidi anche a concentrazioni molto basse, e perfino in campioni con elevate concentrazioni saline”.

Gli scienziati hanno adoperato questa tecnica analitica per isolare amminoacidi dalle acque saline del Mono Lake californiano. Un habitat estremo che, secondo gli autori, potrebbe riprodurre analoghe condizioni presenti su Marte e negli oceani della luna di Saturno, Encelado, o di quella gioviana Europa.

“Usando questa metodica – aggiunge Peter Willis, altro firmatario dello studio -, siamo in grado di distinguere gli amminoacidi provenienti da materia inanimata, come i meteoriti, da quelli appartenenti a organismi viventi”.

Per operare questa distinzione, gli scienziati sfruttano una caratteristica intrinseca degli amminoacidi: la possibilità di presentarsi in due forme differenti, che sono l’una l’immagine speculare dell’altra. Come la mano destra e sinistra. Una proprietà che prende il nome di chiralità. Gli amminoacidi degli organismi terrestri sono, infatti, quasi esclusivamente nella forma ‘levogira’.

Gli studiosi del JPL si aspettano che anche al di fuori della Terra, in presenza delle condizioni adatte a incubare la vita, gli amminoacidi scelgano di presentarsi prevalentemente in una delle due forme. Favorendo, così, la loro identificazione e, concludono, “aumentando le nostre chance di trovare vita nell’Universo, a partire dagli oceani di altri mondi”.

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