Per le politiche relative agli animali d’affezione e, in generale, per la migliore convivenza in città con animali padronali e selvatici, le amministrazioni comunali e aziende sanitarie locali nel 2015 hanno speso più di 245 milioni di euro. A tanto ammonta l’esborso dichiarato dalle amministrazioni comunali (144 milioni) e dalle aziende sanitarie locali (101 milioni) per la gestione degli animali (d’affezione e non) nelle nostre città.
Sicuramente troppo rispetto ai risultati raggiunti, se si considera che solo il 12% dei comuni e il 43% delle aziende sanitarie locali che hanno risposto al questionario inviato da Legambiente per stilare il suo rapporto ‘Animali in città’ ottengono la sufficienza. Troppo anche perché buona parte dei costi (l’80% per i Comuni) è assorbita dai canili rifugio, strutture indispensabili secondo il modello attuale, ma fallimentari rispetto al benessere animale e alla prevenzione del randagismo.
Al questionario inviato da Legambiente a tutte le amministrazioni comunali italiane e a tutte le aziende sanitarie locali (27 domande per i comuni, 20 per le Asl, raccolta dati online da aprile a ottobre 2016, su dati consuntivi del 2015) hanno fornito risposte complete 1.107 comuni e 80 Asl, per le quali è stata condotta l’analisi.
Rappresentano rispettivamente il 13,8% delle 8.018 amministrazioni comunali italiane (e sono responsabili per i servizi di 17.994.107 cittadini) e il 54,4% delle 147 aziende sanitarie locali (responsabile dei servizi per 4.983 tra comuni e/o circoscrizioni e 37.309.574 cittadini). La capitale non ha fornito risposta. Il 39,3% delle amministrazioni comunali ha dichiarato di aver attivato l’assessorato e/o l’ufficio dedicato al settore. Il 98,7% delle aziende sanitarie locali ha risposto di avere almeno il canile sanitario e/o l’ufficio di igiene urbana veterinaria (in tre casi anche l’ospedale veterinario).
In queste strutture le amministrazioni comunali dichiarano di impegnare complessivamente 705 persone (in media 0,6 unità a città) e le aziende sanitarie locali 594 persone (media 7,4 unità per azienda). Teoricamente, dunque, più di un terzo dei comuni e la quasi totalità delle aziende sanitarie locali dovrebbe essere in grado di fornire risposte adeguate, ma non è così.
Solo 3 città (0,3% del campione) – Terni, Peschiera Borromeo (Mi) e Formigine (Mo) – totalizzano i punti necessari a raggiungere una performance ottima. Ventidue città (il 2% del campione) ottengono una performance buona, 132 città (l’11,9% del campione) una performance sufficiente. Sono 35 le aziende sanitarie che raggiungono una performance sufficiente (il 43,75% delle 80 che hanno risposto), 13 le Asl con una performance buona (16,25% del campione) e una sola (Napoli 1 Centro) con una performance ottima.
Per Antonino Morabito, responsabile Benessere animale di Legambiente, “occorre fornire al paese gli strumenti per gestire al meglio la convivenza sempre più stretta in ambito urbano tra i nostri animali e noi. Meglio di quanto sia stato fatto finora, perché di fatto la situazione è drammaticamente disomogenea e carente su molti fronti, nonostante l’ingente spesa pubblica e il lavoro messo in campo dagli enti più virtuosi”.
L’anagrafe canina (l’unica anagrafe obbligatoria ad oggi per gli animali in città) è lo strumento principale per conoscere le presenze dei cani padronali sul territorio. La media nazionale è di un cane registrato ogni 7,19 cittadini. Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Emilia Romagna e Veneto risultano le regioni più virtuose in quanto a registrazioni (con un cane ogni 4 abitanti circa). In fondo alla tabella, Puglia (un cane registrato ogni 10,86 abitanti), Sicilia (12,2) e Calabria (17,91).
Tra le aziende sanitarie, quelle che dichiarano di conoscere il numero complessivo dei cani iscritti all’anagrafe canina nel proprio territorio sono il 96,2% per una media di un cane ogni 6,98 cittadini. I comuni dichiarano di spendere l’82,9% del bilancio destinato al settore per la gestione dei canili, circa 119.694.345,00 di euro della spesa stimata per il 2015.
Dai dati forniti risultano 108 canili sanitari, 48 gattili sanitari, 173 canili rifugio, 75 oasi feline, 16.300 o 14.907 colonie feline (in due domande del medesimo questionario le risposte ricevute dalle amministrazioni comunali variano incomprensibilmente), 1.246 aree urbane per cani, 244 pensioni per cani, 131 allevamenti di cani, 143 campi di educazione e addestramento cani.
Il 100% dei contesti urbani ha gatti liberi più o meno “autorganizzati” in colonie e solo il 22,22% dei comuni dichiara di monitorare le colonie feline presenti nel proprio territorio e da questi monitoraggi risulterebbero 14.907 colonie, con oltre 156.217 gatti e 42.810 cittadini impegnati.
Il randagismo rappresenta l’elemento principale di sofferenza e conflittualità per gli animali e il costo economico più significativo a carico della collettività. Secondo le amministrazioni comunali e le Asl, in media su 4 cani catturati, 3 hanno trovato nel 2015 una felice soluzione. Ma l’indagine restituisce situazioni locali molto diverse. Secondo le risposte fornite dai comuni, le performance peggiori nel ricollocamento dei cani sono state ottenute in Campania, Sicilia, Calabria, Basilicata e Campania.
L’48,87% dei comuni dichiara di avere un regolamento per la corretta detenzione degli animali in città, mentre l’accesso ai locali pubblici e negli uffici è regolamentato in poco più di un comune su 9 (nell’11,38% dei casi). I comuni costieri che hanno regolamentato l’accesso alle spiagge sono ancora il 6%. Pochi, 5,24%, anche i comuni che hanno adottato un regolamento per facilitare cremazione, inumazione e tumulazione dei nostri amici a quattro zampe.
Arrivo e sosta di spettacoli con animali sono regolamentati nel 9,03% dei comuni. Botti e fuochi d’artificio nell’11,56%. Poco più di un comune su 15 ha adottato (6,59% dei casi) ha adottato un regolamento contro l’uso di esche e bocconi avvelenati, che si sta prepotentemente affacciando dalla campagna in città.
Anche rispetto agli spazi aperti dedicati agli animali d’affezione (le cosiddette “aree per cani”), i dati restituiscono una realtà assai differenziata. Stando ai comuni che hanno risposto positivamente (16,17%) risultano 1.246 aree, in media uno spazio dedicato ogni 8.789 cittadini residenti, distribuito ogni 10,5 chilometri quadrati.
Infine, secondo un sondaggio d’opinione, condotto online dal 25 ottobre al 23 novembre 2016, che misura il grado di soddisfazione dei cittadini, circa la metà del campione ritiene insufficiente o mediocre il livello dell’offerta sui vari fronti presi in considerazione. La nota più dolente è l’azione di controllo e vigilanza delle Polizia municipale su maltrattamenti animali o mancata raccolta degli escrementi, ritenuta insufficiente o mediocre da più di otto cittadini su dieci.
Il giudizio migliore quello che gli italiani attribuiscono all’impegno personale: poco più di un cittadino su dieci ritiene insufficiente o mediocre il proprio impegno in tema di animali. Cinque cittadini su dieci ritengono, però, insufficiente o mediocre l’interesse verso gli animali dei loro concittadini e sei cittadini su dieci ritengono insufficiente o mediocre l’impegno del proprio sindaco in tema di tutela degli animali.
Sette cittadini su dieci hanno una percezione insufficiente o mediocre del numero, della pulizia e della fruibilità delle aree verdi. Oltre cinque cittadini su dieci hanno una percezione insufficiente o mediocre dell’offerta di locali pubblici in cui è possibile accedere con il proprio cane. Quasi cinque cittadini su dieci ritiene insufficiente o mediocre il servizio offerto dalle aziende sanitarie locali su cani o gatti vaganti. (AdnKronos)