Anna Frank, la giovane ebrea diventata celebre dopo la sua morte grazie al diario segreto gelosamente custodito e poi divulgato dal padre, poteva salvarsi. Ancora una volta il destino si dimostra essere beffardo. Ma andiamo con ordine. Alla fine degli anni ‘30 del ‘900 migliaia di cittadini ebrei residenti in Germania e nei territori occupati dal Terzo Reich, viste le restrizioni e limitazioni di cui erano involontari soggetti, tentarono di fuggire dal nazismo, intuendo fin da subito che la situazione non poteva che evolversi in negativo. Tra le destinazioni favorite innanzitutto l’America e in particolare gli Stati Uniti.
Anche la famiglia di Anna, ampiamente descritta con dovizia di particolari nel “Diario” diventato ormai celebre, cercò di espatriare negli Usa. Otto Frank, il papà di Anna, chiese asilo agli Stati Uniti nel 1938 e poi di nuovo nel 1941, ma le domande vennero respinte a causa delle politiche restrittive sull’immigrazione volute dal governo statunitense durante il conflitto. Lo storico Richard Breitman ne è convinto: la giovane e colta Anna, insieme alla sua famiglia, avrebbe potuto salvarsi se gli Usa non avessero negato loro il visto di ingresso. Il presidente Franklin Delano Roosevelt voleva ad ogni costo limitare il flusso di stranieri in ingresso, allo scopo di difendere e preservare la sicurezza nazionale durante il conflitto mondiale.