“La domanda di eutanasia e di suicidio assistito da parte del malato esprime il desiderio di mantenere su se stessi il controllo sulla propria vita“. In questo senso, “nel grido disperato di chi vuole morire c’è una speranza di potersi sentire ancora vivo. Vivo e quindi in grado di fare qualcosa: decidere“. Questa la riflessione di Paola Vinciguerra, psicologa e psicoterapeuta, presidente di Eurodap (Associazione europea disturbi da attacchi di panico), sulla vicenda di Dj Fabo che ha ottenuto oggi la ‘dolce morte’ in una clinica svizzera. “Alla base della scelta di morire – analizza Vinciguerra, anche docente all’università Ludes di Lugano in Svizzera – ci sono motivazioni importanti che riguardano il dolore insopportabile e la perdita di controllo sulla propria vita, prima di tutto. Ma in molte ricerche si può notare che il dolore fisico non è il motivo più importante per richiedere la morte. E’ la perdita di controllo della propria vita che spinge definitivamente il paziente a decidere di smettere di vivere“. In casi come quelli del 39enne Fabiano Antoniani, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente nel 2014, “la sofferenza psicologica è molto forte perché c’è la consapevolezza di una serie di perdite importanti come l’integrità del corpo, il suo funzionamento e soprattutto l’impossibilità di mantenere il controllo decisionale della propria vita“. E “sicuramente – osserva Vinciguerra – considerare l’eutanasia un diritto ha dei risvolti sociali edonistici non indifferenti. Aumenta significativamente la sensazione dell’individuo nella possibilità di decidere il proprio destino, con conseguenze di una maggiore separazione dell’io individuale dall’io collettivo“. “Annullando la dimensione simbolica e metafisica della vita, cioè la sua trascendenza – prosegue la psicologa – l’uomo è ridotto a un puro organismo biologico o a semplice fattore di utilità, di consumo o di produzione. E inevitabilmente sarà trattato e imposterà la sua vita in modo meccanico: quando non serve più, lo si scarta, o quando non si sentirà più efficiente staccherà la sua spina“. “Se già stiamo procedendo verso una società assolutamente ego-referenziale – avverte Vinciguerra – si rischia di amplificare questo concetto che sta provocando lo scollamento sociale, dove il singolo non è parte del tutto, ma ogni singolo è tutto“. “Credo sia necessario procedere nella complessità dell’argomento valutando le conseguenze di ogni decisione“, è la conclusione della psicoterapeuta. Da un lato “nel rispetto del singolo che non può essere condannato a sopportare sofferenze inutili per un proseguo di vita senza speranza“, dall’altro facendo attenzione a “non amplificare un concetto di individualismo che sarebbe la distruzione della società“.