L’aderenza alle terapie contro l’ipotiroidismo da oggi è ancora più semplice: per quel 3% di italiani che soffrono di questa patologia – e per questo motivo sono in terapia con l’ormone sintetico della tiroide, la levotiroxina (Lt4) – non sarà più necessario attendere un’ora al mattino prima di fare colazione. Tutto ciò grazie a una formulazione in gocce o in capsule gelatinose del farmaco, di più facile assorbimento rispetto alle compresse, che evita che il caffè del mattino interferisca con la sua assunzione. A spiegarlo è Enrico Papini, direttore dell’Unità di endocrinologia e malattie del metabolismo dell’ospedale Regina Apostolorum di Albano (Roma). La somministrazione dell’ormone sintetizzato in compresse, infatti, prevedeva un assorbimento di circa tre ore, con un picco iniziale alla prima ora, e conseguenti disagi per il paziente nell’organizzazione della sua routine quotidiana, in quanto il cibo rappresenta il primo interferente negativo sull’assorbimento dell’ormone tiroideo. “Sapere che a casa, al bar o in qualsiasi altro posto in qualsiasi momento si può prendere una piccola quantità di ormone gelificato insieme al cibo – afferma Papini – è un qualcosa che dà un senso di tranquillità e di libertà. Per il classico cappuccino e cornetto basterà attendere un quarto d’ora. Chi, invece, è abituato a fare una colazione più ricca, dovrà aspettare 30 minuti. La preparazione in capsule di gelatina – spiega Papini – assicura una cinetica di assorbimento che è intermedia tra la preparazione solida, più lenta, e quella liquida, molto più rapida, ma con alcuni vantaggi tra cui la non trascurabile possibilità di utilizzare grammazioni estremamente fini, che quindi evitano il fastidio di dover alternare due compresse a diverso dosaggio da un giorno all’altro, o dover fare ricorso a metà o quarti di compressa“. La capsula morbida è venduta in 12 diversi dosaggi, da 13 a 200 microgrammi. In questo modo il medico curante può personalizzare la terapia a seconda delle caratteristiche del paziente. Devono essere considerati vari fattori, riflette l’esperto, che possono influenzare efficacia, stabilità e facilità di assunzione della terapia. Tra i quali: attività e pasti nel corso del giorno, cibi e bevande preferiti, momento più vantaggioso per l’assunzione di Lt4, farmaci interferenti con l’assorbimento e il metabolismo, quindi la presenza di disturbi digestivi. Anche l’Associazione medici endocrinologi (Ame) elenca una serie di condizioni cliniche, fattori dietetici e farmaci che possono alterare l’assorbimento della levotiroxina, come la celiachia, la gastrite, la somministrazione non a digiuno, la soia, il succo di pompelmo, una dieta ricca di fibre o, ad esempio, un potente farmaco contro il mal di stomaco. E visto che la tiroide è considerata una ‘centralina di controllo’ di tutte le età – influenza la fertilità, il ritmo cardiaco, la forza muscolare ed è fondamentale per il metabolismo basale, lipidico e glucidico – e che per 6 milioni di italiani rappresenta un problema, la parola d’ordine è prevenzione. Controllare il buon funzionamento della tiroide e insieme il benessere del paziente sono gli obiettivi che oggi il medico deve porsi in caso di ipotiroidismo nella scelta terapeutica. Un elemento su cui influiscono diversi fattori, primo fra tutti la facilità con cui è possibile rimanere aderenti alle terapie. Condizione questa fondamentale per rispettare i livelli ormonali tiroidei, diversi da persona a persona. “Ricostruire il livello ormonale preesistente alla malattia tiroidea o preesistente all’intervento chirurgico è lo scopo principale – sottolinea Papini – ma non per questo dovremmo trascurare alcuni aspetti come quello della vita quotidiana. L’offerta farmacologica si muove verso una serie di soluzioni che possono migliorare l’aderenza alla terapia del paziente, e ridurre al minimo l’intralcio alle attività quotidiane. Un punto molto importante è che la levotiroxina per essere assorbita ha bisogno di un ambiente assolutamente acido all’interno dello stomaco. Questo impone assunzione il più distante possibile dai pasti, perché la molecola per essere disgregata dai succhi gastrici deve essere resa solubile e poi assorbita“. E se la persona si è sottoposta a una tiroidectomia a seguito di un gozzo molto voluminoso o di una neoplasia maligna? “In tal caso – spiega l’esperto – può essere molto utile conoscere valore del Tsh prima dell’intervento perché noi sappiamo che l’ambito della normalità viene fissato su un numero molto elevato di persone ed ha una oscillazione molto consistente: non è detto che corrisponda al valore che la persona aveva dalla nascita, mentre sappiamo che i valori del Tsh subiscono nel trascorrere degli anni delle modificazioni. Quindi dovremmo essere molto attenti a questi aspetti, che però spesso sono trattati in modo sbrigativo dal medico curante“. (AdnKronos)