Informatica e videogiochi: questione di core

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Uno dei primi videogiochi, Tennis for Two’, risale a 1958 e fu messo a punto dall’ingegnere Willy Higinbotham; nel 1962 è la volta di ‘Spacewar’, opera dello studente del Massachusetts Institute of Technology Steve Russel. Quei videogiochi – spiega Alessandra Gatti sull’Almanacco della Scienza del CNR – oggi appaiono preistorici: l’evoluzione tecnologica e la meticolosità degli ingegneri nel cercare sempre qualcosa di stimolante hanno reso infatti i videogames sempre più complessi.

“I videogiochi sono sempre più realistici e vengono utilizzati non solo come passatempo ma anche per la formazione di persone chiamate a operare in particolari condizioni, come ad esempio i chirurghi o i piloti di aereo”, spiega Massimo Bernaschi dell’Istituto per le applicazioni del calcolo ‘Mauro Picone’ (Iac) del Cnr. “Tra i fattori che hanno reso possibile tale progresso, le schede utilizzate per la grafica dei videogiochi, le Graphics Processing Unit (Gpu), dotate di una sempre crescente capacità di calcolo. I ricercatori, costantemente a caccia di nuovi modi per velocizzare simulazioni e studi numerici, hanno infatti iniziato a sfruttare le schede come veri e propri acceleratori delle Cpu (Unità di elaborazione centrale) tradizionali”.

Tra gli artefici del successo dell’intelligenza artificiale spesso ci sono proprio gli hardware e i software utilizzati per i videogiochi. “Si parla di General Purpose Computing on Graphics Processing Units (Gpgpu) per indicare la tendenza a impiegare le schede pensate per la grafica dei video games nei settori più vari: dalla bio-informatica al riconoscimento della voce nelle moderne automobili senza guidatore”, prosegue il tecnologo dell’Iac-Cnr.  “Gli algoritmi sono stati in passato studiati avendo in mente un modello (macchina di Von Neumann) di computer seriale, in cui era eseguita una sola operazione per volta, in maniera estremamente veloce. Fino a quando è stato possibile velocizzare l’esecuzione della singola istruzione, questo modello ha funzionato benissimo sfruttando la legge di Moore. Da quando però la velocità della Cpu non può più essere accresciuta, per raggiunti limiti fisici, l’unica strada percorribile è sfruttare il ‘parallelismo’, avere cioè più ‘core’, unità di esecuzione, che lavorano contemporaneamente eseguendo la stessa istruzione ma su dati diversi oppure istruzioni di programmi distinti. Questo principio di funzionamento concorrente è sfruttato negli smartphone o nei tablet, che frequentemente hanno 4 o anche 8 core, ma è spinto al massimo nelle schede per i videogiochi che hanno migliaia di core”.

Ma l’elevata capacità di calcolo non è l’unica motivazione per cui le schede dei videogiochi sono utilizzati dai ricercatori in altri settori. “Fondamentale è anche il loro basso costo”, precisa Bernaschi. “Dal momento che i volumi di schede per i videogiochi vendute si misurano in milioni, i produttori riescono a offrirle a un prezzo molto attraente, rendendo possibile acquistare la capacità di eseguire TeraFlOpS (un TeraFlOpS corrisponde a 1.000 miliardi di operazioni aritmetiche al secondo) per poche centinaia di euro”.

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