Medicina: nuove possibilità terapeutiche per il tumore maligno dell’osso

MeteoWeb

L’utilizzo di terapie avanzate, basate su biofarmaci anti-infiammatori come complemento ai trattamenti convenzionali, apre a nuove possibilità terapeutiche per il tumore maligno dell’osso. E’ il risultato di uno studio congiunto dell’Università di Bologna e del Vu University Medical Center di Amsterdam. Condotto in Italia all’Istituto ortopedico Rizzoli all’interno di un progetto finanziato da Airc, il lavoro consente già oggi di considerare l’acidità del microambiente tumorale e l’attivazione delle cellule staminali normali come nuovi bersagli terapeutici per colpire l’osteosarcoma. Nei pazienti con questo tumore – spiega l’ateneo bolognese in una nota – le cellule staminali, responsabili in condizioni fisiologiche della riparazione dei tessuti, “sentono” la neoplasia come una ferita che si ripara senza sosta. I segnali a cui rispondono sono specifici e rilasciati dal tumore stesso: ad esempio il Tgfb, trasportato da nano vescicole secrete dalle cellule trasformate. A questi segnali le cellule staminali rispondono liberando una grande quantità di interleuchina 6, una molecola infiammatoria che stimola il tumore a produrre metastasi. “In passato – spiega Nicola Baldini, del dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie dell’Alma Mater – abbiamo studiato l’osteosarcoma isolandone le cellule tumorali, facendole crescere in coltura e indagandone le alterazioni genotipiche e fenotipiche. Questi studi sono serviti a identificare alcune caratteristiche peculiari: alterazioni del corredo genetico, produzione di proteine anomale, chemioresistenza. Purtroppo la capacità di trasferire queste conoscenze al contesto clinico è risultata insufficiente”. “Appare sempre più evidente – aggiunge Baldini – che la neoplasia è assai più di un semplice aggregato di cellule con un corredo genetico alterato, ma un tessuto complesso, nel quale le cellule staminali normali, attivate in risposta al tumore, ne alimentano le caratteristiche di malignità: resistenza alla terapia, invasione, metastasi. Con questa visione allargata – conclude – è possibile aprire la strada a trattamenti diretti a modulare il microambiente della neoplasia, in modo da agire in modo efficace per colpire la frazione di cellule tumorali che sfuggono al controllo con le terapie convenzionali”. L’osteosarcoma – sottolinea l’ateneo bolognese – è il tumore maligno primitivo più frequente dello scheletro. E’ estremamente aggressivo, colpisce in particolare bambini e adolescenti e non sempre risponde alla chemioterapia. La rarità e l’eterogeneità dell’osteosarcoma, caratterizzato da un assetto genetico estremamente complesso, rappresentano un ostacolo per l’identificazione di bersagli molecolari mirati. Studi recenti hanno messo in evidenza l’importanza del microambiente dell’osteosarcoma: quanto è ossigenato il tessuto, se si accumulano protoni e se sono presenti cellule reattive. Come in altri tumori solidi, anche nell’osteosarcoma il microambiente extracellulare presenta un eccesso di protoni, e quindi un ph acido, dovuto a un alterato metabolismo energetico. In uno studio pubblicato nel 2016 su ‘Oncotarget’, gli stessi ricercatori avevano dimostrato che questa acidità extracellulare contribuisce direttamente e in modo significativo alla chemioresistenza. Più recentemente, in due studi pubblicati su ‘Plos One’ e ‘International Journal of Cancer’, si è osservato che l’acidità del microambiente stimola la formazione di cellule staminali tumorali, responsabili della resistenza alla terapia e della ripresa di malattia. Anche in questo caso, dunque – conclude l’ateneo – si delinea l’importanza fondamentale delle staminali normali nel modulare il comportamento delle cellule neoplastiche.

Condividi