Ricerca: movimento, attenzione e linguaggio le funzioni più colpite dall’ictus

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L’ictus è la terza causa di mortalità e la prima causa di disabilità nei paesi avanzati. Negli ultimi 30 anni vi sono stati progressi significativi nel trattamento acuto dell’ictus, ad esempio l’uso di farmaci che possono dissolvere un trombo (trombolitici) o più recentemente strumenti che permettono attraverso l’inserzione di un catetere nelle arterie cerebrali di migliorare la circolazione rimuovendo il trombo (trombectomia). Nonostante questi miglioramenti la stragrande maggioranza di pazienti colpita da ictus soffre di deficit di vario tipo che possono essere trattati nel periodo post-acuto solo con tecniche di neuro-riabilitazione, quali ad esempio il training delle funzioni motorie o linguistiche. Teorie neurologiche correnti predicono che i deficits neurologici sono molto diversi a seconda della specifica area del cervello colpita dall’ictus, ma questa eterogeneità è stata osservata solo in casi singoli o in piccole casistiche. Inoltre non sono chiari i fattori clinici o anatomici che predicono il miglioramento nei mesi successivi all’ictus. La possibilità di predire i deficit più comuni e i fattori che controllano il recupero è fondamentale per una adeguata allocazione delle risorse, ad esempio decidere quando continuare o interrompere la riabilitazione, o per misurare in modo sensibile l’efficacia di nuovi trattamenti. Un team di ricercatori della Washington University School of Medicine (St. Louis, Missouri Usa) e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova ha dimostrato in uno studio pubblicato in questi giorni su Human Nature Behavior come due gruppi di deficit correlati spieghino la maggioranza delle disabilità post ictus: specificatamente, deficit del movimento e dell’attenzione, da un lato, e deficit di memoria e linguaggio, dall’altro, sembrano essere i deficit ”canonici” nell’ictus. La ricerca Behavioral clusters and predictors of performance during recovery from stroke (Ramsey et al.) dimostra come questi deficit canonici migliorano rapidamente per i primi 3 mesi in circa il 70% dei pazienti, e più lentamente fino a 12 mesi. Infine, se l’ictus danneggia la sostanza bianca del cervello, ovvero quella parte sotto la corteccia che contiene le fibre nervose o cavi che vanno al midollo spinale, i deficit recuperano significativamente meno. Lo studio, finanziato dal National Institute of Health, Bethesda, USA, ha coinvolto un gruppo di N=132 pazienti con primo ictus studiati con 44 tests neuropsicologici che hanno indagato tutte le funzioni principali (movimento, linguaggio, cognizione, memoria, emozioni etc) longitudinalmente per 1-2 settimane, 3 mesi e 12 mesi, e hanno misurato l’estensione e la posizione dell’ictus con risonanza magnetica nucleare (RMN) strutturale. “Questo studio mostra che dobbiamo concentrarci nel trattare congiuntamente deficit di movimento e attenzione, da un lato, e deficit di memoria e linguaggio dall’altro; che dobbiamo concentrare il massimo sforzo riabilitativo nei primi tre mesi; e che pazienti con lesioni della sostanza bianca sono più a rischio di disabilità permanente. Queste sono lezioni importanti per qualsiasi medico che tratta con pazienti con ictus»”, dice Maurizio Corbetta, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Padova e Azienda Ospedaliera, e senior author dell’articolo. (AdnKronos)

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