Sanità: l’operazione IEO divide anche i cervelli italiani all’estero

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L’operazione Ieo divide, e non solo in Italia. L’ipotesi di acquisizione dell’Istituto europeo di oncologia e del Centro cardiologico Monzino di Milano da parte dei gruppi ospedalieri Humanitas e San Donato – che vedrebbe l’Irccs fondato da Umberto Veronesi ‘assorbito’ da quello creato da Gianfelice Rocca, e l’Irccs del cuore confluire in quello capofila della galassia Rotelli presieduta da Paolo, figlio del patron Giuseppe – suscita reazioni diverse anche all’estero. Mentre a casa nostra, anche sul fronte medico e sanitario, si sono formati il partito del ‘no’ (Cda Ieo-Monzino e dichiarazioni ufficiali di direttori scientifici e primari) e quello del ‘sì’ (la famiglia Veronesi) – recente è poi l’apertura del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che pur non entrando nel merito di “un’operazione fra privati” su cui il dicastero non ha ancora ricevuto carte da poter visionare, osserva come “fare massa critica fa sempre bene alla ricerca” – nemmeno oltre confine c’è unità di visioni. I pareri dei cervelli italiani emigrati fuori patria, ‘grandi firme’ della scienza contattate dall’AdnKronos Salute, hanno toni diversi e invitano a riflessioni differenti. Fra coloro che conoscono Ieo e Monzino più da vicino, c’è per esempio chi ritiene che il matrimonio s’ha da fare. L’operazione “si deve fare e si farà“, perché sul fronte della lotta al cancro “conviene” a entrambe le parti: all’Humanitas – è il senso dell’analisi – per rafforzarsi ulteriormente in oncologia clinica, ricerca e didattica; all’Ieo alla luce di una crisi che rischia di complicare gli investimenti e l’aggiornamento tecnologico. Le expertise di via Ripamonti – è la visione – potrebbero inoltre inserirsi in un contesto medico, come quello di Rozzano, attivo anche in campo non oncologico. Lo stesso discorso varrebbe per Mozino e Policlinico San Donato. Possibilista appare poi Carlo Maria Croce, a capo del Department of Cancer Biology and Genetics della Ohio State University. Ieo e Humanitas “mi sembra siano abbastanza complementari e questo potrebbe aiutare gli uni e gli altri – afferma – Soprattutto potrebbe aumentare l’interesse di Humanitas per il cancro, rendendone il programma più interessante dal punto di vista sia scientifico sia clinico“. Tra gli scienziati di punta dell’Irccs di Rozzano Croce cita in particolare l’immunologo Alberto Mantovani, lo studioso italiano più citato al mondo. Se lavorasse fianco a fianco con i grandi nomi della ricerca oncologica ‘targata’ Ieo, da Pier Giuseppe Pelicci a Pier Paolo Di Fiore, l’Italia potrebbe dare contributi ancora maggiori alla frontiera dell’immunoterapia oncologica. I cervelli ci sono, le idee pure, e “metterli insieme potrebbe aiutare a fare cose interessanti“. Sulla carta già “ci sono sinergie“, osserva lo scienziato, e concretizzarle in progetti unici significherebbe anche “migliori possibilità di attirare finanziamenti e fondi europei“. Più chance in due che da soli, presentando programmi separati. Ma se è vero che l’unione fa la forza, Croce tiene a precisare che “è più importante essere bravi che grandi“. Osservazione che fa anche Antonio Iavarone, docente di Neurologia e Biologia cellulare alla Columbia University di New York: “Le dimensioni sono importanti, ma vanno qualificate“, puntualizza. “Va bene fare massa critica, però è soprattutto una questione di programmi“, aggiunge. “Non conta mettere insieme tanta gente – chiarisce – se poi non si imbocca la strada giusta. Per questo, per valutare correttamente l’offerta, sarà fondamentale capire il piano strategico proposto” da Humanitas e San Donato. Iavarone fa inoltre notare come l’immunoncologia, promettente “campo di studi in grandissima espansione, con possibilità di ricerca enormi“, sia “solo un aspetto della rivoluzione rappresentata dalla cosiddetta medicina personalizzata“. Per centrare l’obiettivo di cure ‘sartoriali’, ritagliate su misura in base alle caratteristiche di ogni paziente, l’elemento chiave è “in primis la genetica del cancro, lo studio delle alterazioni associate alla malattia. Quanto più capiamo del singolo tumore, grazie a una serie di nuove tecnologie e competenze – prosegue lo scienziato – tanto più possiamo scegliere la via giusta per colpirlo“. Che può essere quella dell’immunoterapia (“finora ha prodotto risultati molto importanti contro il melanoma metastatico – ricorda Iavarone – ed è al centro di moltissimi trial clinici per valutarne l’effetto su diverse forme di cancro“), oppure altre. Sul piano scientifico, continua Iavarone, a fare davvero la differenza tra enti di ricerca è “soprattutto la capacità di un Istituto di lanciare grandi studi clinici innovativi creati e portati avanti al suo interno, grazie alle sue attività e competenze“. Per pesare a livello internazionale servono “studi su genetica, immunoncologia, target therapy, trial clinici, creazione di nuovi modelli di malattia che consentano di comprenderla a fondo“, elenca il ricercatore che sul ‘caso Ieo’ si dice dunque “né guelfo né ghibellino. Tutto dipende dagli assi della manica” che le varie parti in causa hanno “in termini di programmi scientifici“, ripete. “Credo infine – conclude Iavarone – che un’operazione del genere vada pensata anche tenendo contro del progetto Human Technopole e di quello che potrebbe significare” per Milano e l’Italia. Invita invece a riflettere sull’impatto che le possibili ‘nozze’ avrebbero sulla sanità tricolore Antonio Giordano, direttore e fondatore della Sbarro Health Research Organization di Philadelphia. “Per valutare l’operazione servirebbero più dettagli“, dice, auspicando che “venga presentato un business plan chiaro e trasparente dal punto di vista finanziario, scientifico e strategico“. Secondo lo scienziato, “chiarezza e trasparenza” dovrebbero essere le parole d’ordine più che mai in questi casi, specie “a garanzia di una competizione corretta e leale fra pubblico e privato“. “Quello che non deve accadere – sostiene Giordano – è che alla fine si crei un controllo sulla sanità in cui risultino penalizzate le strutture che svolgono un servizio ai cittadini secondo le regole del pubblico“. Il timore del ricercatore è che si possa “sbilanciare in maniera drammatica l’equilibrio dell’offerta sanitaria tra pubblico e privato” da un lato, e dall’altro “tra Nord e Sud del Paese. Penso ai viaggi della speranza, una devastazione anche dal punto di vista economico e un dramma umano” vissuto da pazienti che “non hanno tutti le stesse disponibilità economiche“. “Non deve essere l’imprenditoria a controllare il flusso dei pazienti, altrimenti è un problema“, avverte Giordano. “Se nascerà un nuovo grande polo della sanità – è il messaggio – bisognerà essere certi che non sia vantaggioso solo per chi lo crea, ma per i malati“.

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