Tutte le femmine e anche qualche maschio – spiega Anna Maria Carchidi sull’Almanacco della Scienza del CNR – hanno giocato durante la loro infanzia con una bambola, di pezza o di plastica, dalle sembianze di neonato o di adulto, circondata da accessori che in qualche modo ricreavano la vita reale. In un mondo sempre più ‘virtuale’ questo antico gioco come si è modificato?
“La bambola è un archetipo di gioco che ritroviamo in tutte le civiltà. Da quella snodabile in avorio di raffinata fattura rinvenuta nella tomba di una giovane donna romana, Crepereia Tryphaena, a quelle medioevali di legno e stoffa, fino alle poupées francesi dell’Ottocento. Il gioco è sempre lo stesso: fare le prove della vita che ci attende in società, accudire o accudirsi, imparare a fare la mamma o imparare a mostrarsi”, spiega Sveva Avveduto, dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr di Roma. “Un tempo non molto lontano, negli anni ’50-’60 del 1900, c’erano le bambole con il viso di porcellana pregiata, il biscuit, i boccoli di veri capelli, i vestiti di panno lenci o gli abiti di sartoria. Erano bambole inamovibili, preziose, più da guardare che per giocare; le mamme invitavano le figlie a non toccarle: provare a spogliarle e rivestirle suonava come un sacrilegio. Venne poi la Barbie e la sua parente povera italiana, la Jenny, e fu il trionfo dei vestitini da comprare e cambiare a piacimento: il mercato lanciò ogni sorta di accessorio, un vero e proprio corredo di vita; la casa, l’automobile, il camper e via di seguito, fino ad allargare la famiglia con sorelle e fidanzati”.
In questo caso le bambole hanno fattezze da adulto, e il bambino diventa ‘regista’ di una storia e non attore. Una delle due categorie nelle quali far ricadere questo giocattolo è quella dell’identificazione/imitazione delle bambole glamour; l’altra è l’accudimento, cioè la bambola-bambolotto, il neonato da curare, nutrire e vezzeggiare, il modello Ciccio Bello per intendersi”, continua la ricercatrice. “Ambedue sembrano resistere agli urti del tempo”. Ma la bambola è prerogativa esclusiva dell’universo femminile, creatrice e simbolo di un’identità di genere? “Di certo questo stereotipo resiste, nonostante i tanti anni di femminismo, durante i quali uno degli imperativi è stato togliere le bambole alle femminucce e non impedire ai maschietti di giocarci” continua la studiosa. “I bambini e le bambine da sempre giocano con la rappresentazione della realtà della quale si troveranno a far parte e ciò incide in modo significativo nel loro sviluppo cognitivo. Riuscire a rompere certi schemi sociali non tocca ai bambini coi loro giochi, ma agli adulti. Se il papà cambia il pannolino al figlio farà comprendere che non ci sono giochi esclusivamente maschili o esclusivamente femminili. I giocattoli si basano su questo principio imitativo e questa è la molla di acquisto e utilizzo”.
Recenti dati di Confartigianato mostrano una crescita dell’industria del giocattolo in Italia nel 2016 del 5%, tuttavia la produzione delle bambole è calata del 2%. E sembra che le bambole virtuali stanno sostituendo il vecchio bambolotto. “In qualsiasi app store si trovano principesse, sirene, spose, viaggiatrici e, ovviamente, le Barbie digitali. Ci si può sbizzarrire, pur coi vincoli delle scelte preordinate digitalmente, a trasformare le varie bambole elettroniche, a far loro vivere una vita da noi diretta nei pochi centimetri dello schermo di uno smatphone”, conclude Avveduto. “A giudicare dalla crescita di questo segmento di offerta sembra che i piccoli gradiscano quest’evoluzione. Tuttavia non credo che la bambola sia al tramonto, così come il libro non è stato soppiantato dall’e-book. La bambola ha superato indenne i millenni, resisterà a una temporanea tempesta di bit”.