Fino ai primi del ‘900 servivano a fornire ghiaccio e ad alimentarne il commercio; ora che il ghiaccio possiamo farlo comodamente in casa, non si usano più, ma i ‘pozzi della neve‘ resistono al tempo e oggi sono diventati ambita meta di escursionisti. Dove trovarli? Ad esempio sui Monti Aurunci, l’Antiappennino Laziale con le sue vette che raggiungono i 1.500 metri.
Qui, attraversando grotte e doline, è possibile trovare ‘pozzi della neve’ risalenti a 400 anni fa, conservati benissimo a testimonianza della presenza dell’uomo su queste montagne. Secondo l’Associazione italiana delle guide escursionistiche ambientali (l’Aigae), oggi i turisti sono sempre più attirati dai luoghi meno conosciuti in Italia e dalle attrazioni meno ‘battute’ e i ‘pozzi delle neve’ sono una di queste, apprezzati soprattutto per la storia che raccontano.
“Nei secoli l’uomo ha imparato a trarre vantaggio dal carsismo e dalla conformazione geologica del territorio, utilizzando le sue cavità nei modi più disparati“, spiega Daniele Ruggieri delle Guide Ambientali Escursionistiche Italiane, che opera all’interno del Parco Naturale degli Aurunci nel Lazio.
I ‘pozzi della neve’ servivano per la produzione di ghiaccio da utilizzare nelle stagioni più calde per la conservazione del cibo. Un commercio di cui si trova traccia in un documento del 1631 degli Statuti di Gaeta in cui si riportano le norme sulla vendita di ghiaccio: tra i trasportatori figuravano i pastori, i quali si impegnavano a garantirne la fornitura alla città di Gaeta, dal 1 maggio a tutto il mese di ottobre.
I blocchi di ghiaccio venivano trasportati dai ‘pozzi’ a valle, durante la notte e a dorso di muli, percorrendo le vie della neve, come sono chiamate ancora oggi. Pratica avvenuta fino agli inizi del ‘900. Oggi le vie della neve offrono paesaggi unici, sia per la bellezza della natura sia per le testimonianze di quanto l’uomo è riuscito a fare per adattarsi e sfruttare quei luoghi.
Dalle vette alla Piana di Campello dove le doline sono lo specchio di come l’uomo si sia adattato a sfruttare al meglio il territorio, terreni fertili e versanti ‘terrazzati’ per la coltivazione di grano, ma con scarsa acqua superficiale.
Le doline, dunque, erano ottime per le coltivazioni, occorreva però recuperare l’acqua, adottando una tecnica simile a quella utilizzata per la costruzione dei pozzi della neve, ma con qualche variante progettuale.
Buchi circolari nel terreno, rivestiti con pareti costruite a secco, alternando strati di rocce più grandi a quelli di rocce più piccole in modo da renderle impermeabili, si trasformavano in cisterne per la raccolta dell’acqua piovana che, dalle pendici dei monti, scorreva verso il centro della dolina prima di insinuarsi nel terreno e continuare il suo viaggio fino alle valli dell’entroterra o fino a mare.
Ancora oggi gli Aurunci garantiscono acqua a tutto il territorio limitrofo e a una delle città costruite dai romani, Minturnae, con la sorgente di Capodacqua nota già all’epoca. Queste cisterne oggi sono l’habitat naturale e perfetto per due ospiti di particolare interesse, due anfibi: i tritoni e le salamandre che qui vi si riproducono a conferma della biodiversità di questi monti.
E a proposito di biodiversità e particolari habitat, “il Parco Naturale degli Aurunci, nel Lazio – racconta Ruggieri – ha avviato negli anni precedenti studi e importanti campagne di ripopolazione di pipistrelli. Di estremo interesse è la grotta denominata Fosso di Fabio dove troviamo interessanti conformazioni calcaree e alcuni esemplari di pipistrelli”.
Le guide ambientali escursionistiche permettono di andare alla scoperta di tutte queste piccole meraviglie. Sono vere e proprie le sentinelle del territorio, specializzate in tanti rami importanti che spaziano dalla geologia alla biologia, dall’archeologia all’intero mondo della natura. (AdnKronos)