Farmaci: l’Italia investe 3 milioni di euro sull’antibiotico-resistenza

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“Siamo al terzo posto per investimenti europei: più di 3 milioni di euro finanziati, con specificità sull’antibiotico-resistenza. La Germania, tuttavia, ne impiega 7”. Lo afferma la ricercatrice italiana esperta in malattie infettive, Evelina Tacconelli, da anni residente in Germania, che ha partecipato al VI Congresso internazionale Amit (Argomenti di malattie infettive e tropicali) a Milano. L’Europa, dice, “sembra avara, ma è difficile stabilire le ragioni alla base di questo meccanismo: sono i gruppi di ricerca che non partecipano adeguatamente o ci sono consorzi europei, una sorta di lobby, che ricevono la fetta più grossa del budget?”. “Occorre un grosso impegno a livello politico, economico e di ricerca per la produzione di nuovi antibiotici – osserva Tacconelli – così da ridurre la mortalità dei pazienti con questo tipo di infezioni e avere delle opportunità di previsione e prevenzione delle prossime epidemie. Ma serve anche investire sulla formazione degli specialisti”. Per la ricercatrice sono tante le differenza tra Italia e Germania. “Per assurdo in Germania – spiega – la cultura delle malattie infettive è inferiore a quella italiana che si è sviluppata enormemente, soprattutto con l’Hiv, con una scuola di specializzazione che la Germania non può certo vantare. Ma nonostante ciò la Germania è migliore in termini di antibiotico-resistenza. L’uso inappropriato dei farmaci è molto più basso, esistono farmaci utilizzati anche la metà delle volte rispetto all’Italia. Ad esempio in Germania il numero di resistenze ai carbapenemici è intorno al 10%, in Italia si parla di percentuali di infezioni decisamente superiori”. Durante il congresso, che ha riunito oltre 300 specialisti dall’Italia e dall’estero, si è parlato anche di micobatteriosi nella popolazione migrante. “I migranti non sono da temere per il tipo di infezioni che portano con sé – evidenzia Tacconelli – Abbiamo in nostro possesso metodi di identificazione che permettono la cura di queste problematiche, senza alcun rischio di contagio. Ovvio che migrazione significhi un aumento di tubercolosi e di resistenza agli antibiotici, prevalentemente dalle aree della Russia e paesi dell’ex Unione Sovietica, ma con un buon sistema organizzativo sono sicuramente gestibili”.

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