Nuove possibilità di cura per il cheratocono grazie alla tecnica mini-invasiva di iontoforesi con intervento di cross-linking. La terapia definitiva è il trapianto di cornea ma oggi – spiegano gli specialisti dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) – grazie a questa tecnica non è sempre necessario ricorrere alla cheratoplastica. Il cheratocono è una malattia degenerativa che provoca un progressivo assottigliamento e incurvamento della cornea, che ‘si sfianca’ e assume una forma a cono, distorcendo la visione da lontano e da vicino, rendendo le persone quasi completamente cieche: secondo i dati della Società italiana trapianti di cornea, ne soffre una persona ogni 2.000 – una su 600 tra gli over 60 – e si manifesta in particolare nei giovani tra i 15 e i 35 anni.
“Il cross-linking corneale (Cxl) oggi costituisce l’aspetto più importante dal punto di vista terapeutico – spiega Marco Minicucci, del Centro neuro oftalmologia chirurgica di Neuromed – È una tecnica mini-invasiva e veloce: la cornea viene ‘imbibita’ di riboflavina e poi trattata con uno speciale raggio luminoso che attiva il composto, promuovendo l’indurimento delle fibre di collagene. Questo approccio che ha già curato molti pazienti non permette di recuperare la funzione visiva già persa, specie se la diagnosi di cheratocono è stata tardiva, ma di evitare la progressione della malattia”.
Tra i benefici della nuova metodica anche quello della riduzione del tempo d’intervento, che da un’ora diminuisce ad appena 15 minuti.
“E’ un trattamento – sottolinea lo specialista – che non richiede anestesia generale, sostituzione di frammenti di tessuto o utilizzo di suture, ma semplicemente sfruttando le caratteristiche della riboflavina (o vitamina B2) va a far sì che le fibrille di collagene della cornea vadano incontro a nuova generazione, irrobustendo la struttura corneale e bloccandone lo ‘sfiancamento'”.
“Con la iontoforesi, in particolare – aggiunge Minicucci – avviene un trasporto di molecole all’interno della cornea, seguito da una fase di irradiamento con una sorgente di raggi ultravioletti di classe ‘A’ che va ad attivare la riboflavina. Nel corso dei mesi successivi al trattamento si verifica un irrobustimento della cornea e quindi l’arresto dello ‘sfiancamento’ che è alla base del cheratocono. Nella nostra casistica – evidenzia – basata su un follow up a 8 anni, il 98% dei pazienti non ha avuto progressioni della malattia, nessuno dei nostri pazienti è ricorso al trapianto della cornea”.
Le nuove strumentazioni, inoltre, svolgono un ruolo significativo nella diagnosi precoce: “Le metodiche diagnostiche che sono notevolmente migliorate – dall’uso della topografia corneale (un esame non invasivo che studia la forma della cornea) alla pachimetria (la misurazione dello spessore della cornea), passando per lo studio degli strati che la compongono – hanno permesso una diagnosi precoce di questa malattia e quindi di affrontarla meglio dal punto di vista terapeutico”, conclude lo specialista Neuromed. (AdnKronos)