Curare il cervello migliora la vita: è questo lo slogan della Settimana mondiale del cervello 2017 che si chiude oggi. L’iniziativa della Società italiana di neurologia (Sin) ha previsto una serie di iniziative in tutta Italia partite lunedì scorso, e si è aperta con una buona notizia legata al calo dei casi di ictus che negli ultimi vent’anni sono scesi, secondo gli esperti del 29%. Tale riduzione, che riguarda sia gli ictus ischemici sia quelli emorragici, è stata osservata nonostante un indice di invecchiamento della popolazione con età superiore ai 75 anni pari al 33%. La riduzione dell’incidenza interessa in particolare gli ictus disabilitanti e fatali. Oggi sono 930mila coloro che riportano effetti invalidanti a causa di questa patologia e 120mila i nuovi casi ogni anno.’È plausibile – dice Elio Agostoni, direttore Dipartimento di Neurologia dell’ospedale metropolitano Niguarda di Milano – attribuire questa riduzione all’aumento e al miglioramento delle strategie preventive, a un miglior controllo dei fattori di rischio vascolare e al ruolo della chirurgia vascolare, anche per il considerevole numero di interventi chirurgici eseguiti per stenosi della carotide (dal 17,2% è passata al 17,8%). Prevenire è meglio che curare, sottolinea la Sin, e le strategie di prevenzione dell’ictus sono più efficaci se vengono attuate quando l’ictus non si è ancora manifestato ossia in soggetti ‘che stanno bene’. È bene quindi effettuare periodiche visite presso il proprio medico di base che provvederà a verificare il profilo di rischio vascolare. Ecco alcune regole importanti per prevenire l’ictus: non fumare, e ovviamente smettere di farlo, riduce il rischio di ictus; praticare quotidianamente attività fisica moderata, ad esempio camminare con passo spedito per 30 minuti al giorno per la maggior parte dei giorni della settimana; evitare l’aumento di peso con misure dietetiche ed attività fisica: nei soggetti in sovrappeso la riduzione del peso corporeo ha effetti positivi sulla pressione arteriosa, sul diabete e sui grassi nel sangue; evitare un’eccessiva assunzione di alcol. L’assunzione di modiche quantità di alcol può esercitare un effetto addirittura protettivo per le malattie vascolari e l’ictus; ridurre il consumo di grassi e condimenti di origine animale, aumentare il consumo di pesce quale fonte di grassi polinsaturi, aumentare il consumo di frutta, verdura, cereali integrali e legumi quale fonte di vitamine e antiossidanti; limitare l’assunzione di sale nella dieta a meno di 6 grammi. Tale obiettivo si raggiunge evitando cibi ad alto contenuto di sale e non aggiungendo sale a tavola. La raccomandazione è ancora più importante per i soggetti con ipertensione arteriosa.E’ inoltre buona abitudine controllare la pressione arteriosa. Nei soggetti con ipertensione arteriosa, qualora le modificazioni alimentari e dello stile di vita non siano sufficienti, è indicato il ricorso ai farmaci antipertensivi. I valori consigliati sono inferiori a 140/90 mmHge di 130/80 mmHg nei diabetici. Eseguire periodici controlli della glicemia per diagnosticare precocemente la presenza di diabete è importante. Nei diabetici la riduzione del peso corporeo, le modificazioni dello stile di vita ed il controllo degli altri fattori di rischio devono essere particolarmente accurati. Attenzione inoltre alla fibrillazione atriale. Per prevenire l’ictus nei soggetti con fibrillazione atriale è indicata l’assunzione di farmaci anticoagulanti nei pazienti di età superiore ai 65 anni e in quelli che hanno già avuto un ictus ischemico cerebrale. ‘Attraverso il tema di questa edizione Curare il cervello migliora la vita – afferma Leandro Provinciali, presidente Sin – intendiamo mettere al centro della settimana la neurologia e le malattie di cui si occupa, nelle varie espressioni cliniche, e l’esigenza di risposte più adeguate ai crescenti bisogni di cura. Riteniamo, infatti, che la neurologia abbia ancora un ruolo sottostimato nel nostro Paese, con un conseguente svantaggio per i pazienti che nel 60% dei casi non si rivolgono al neurologo per le patologie competenti, ritardando così la corretta diagnosi. In molte patologie del Sistema Nervoso Centrale e Periferico, la diagnosi precoce permette una strategia terapeutica in grado di tenere sotto controllo i sintomi e modificare, quindi, la progressione della malattia. In altri casi, come l’Ictus, l’intervento tempestivo e qualificato dei centri dedicati al manifestarsi dei primi sintomi consente di ridurre e, talora, annullare i gravi danni che la patologia potrebbe provocare, con un conseguente beneficio per la qualità di vita dei malati’.Tanti i temi al centro della settimana. Sono molte le malattie neurologiche che possono avere il loro esordio in età giovanile: alcune malattie muscolari, malattie infettive e infiammatorie, i traumi, alcuni tumori, l’epilessia, le cefalee, malattie degenerative o immunomediate del sistema nervoso periferico, malattie metaboliche e malattie autoimmuni come la sclerosi multipla. Per molte di queste malattie esistono cure specifiche e attive e pertanto è necessaria una diagnosi precisa, dettagliata e precoce. L’impatto di tutti i traumi sul cervello giovane. Gli esiti del trauma dipendono certamente dalla gravità dello stesso e dalla entità ed estensione delle lesioni nervose, ma si è visto che traumi anche relativamente lievi sono in grado di causare un danno diffuso a livello del sistema nervoso centrale, che può manifestarsi successivamente con disturbi cognitivi di una certa rilevanza.Il giovane ha certamente maggiori capacità di recupero rispetto a un adulto o un anziano: studi scientifici che hanno valutato l’outcome dopo traumi cranici (Andruszkow et al., Health and Quality of life Outcomes, 2014) hanno dimostrato che, se il trauma avviene in età prescolare, migliore è il recupero rispetto a soggetti in età scolare o adulti.Nella età giovanile e adolescenziale le sostanze di cui si fa più abuso e che causano un effetto dannoso sul sistema nervoso sono principalmente l’alcool e la marijuana. Meno utilizzate, ma particolarmente lesive sono altre sostanze, come gli allucinogeni, l’ectasy o la cocaina. Numerosi studi hanno valutato l’effetto a distanza di alcool e marijuana, utilizzando tecniche neuropsicologiche ed anche esami come la Risonanza Magnetica (RM) che hanno valutato il danno funzionale e strutturale del sistema nervoso. E’ stato dimostrato (Lindsay et al Curr Psychiatry Rep, 2016) che il cronico abuso di tali sostanze determina un calo della memoria verbale, delle funzioni visuo-spaziali, della memoria di lavoro, dell’attenzione e della concentrazione, con un conseguente abbassamento globale delle funzioni cognitive. A causa dell’invecchiamento della popolazione, stiamo assistendo a una epidemia silenziosa che coinvolge il nostro Paese: circa 1.000.000 sono i pazienti con demenza, di cui la maggior parte colpiti da malattia di Alzheimer.La diagnosi precoce è indispensabile per poter indirizzare il paziente con Malattia di Alzheimer verso strategie terapeutiche, attualmente in fase avanzata di sperimentazione, che potrebbero modificare il decorso della malattia mediante la rimozione della proteina beta-amiloide.Tali strategie sono basate su molecole che determinano una riduzione della produzione di beta-amiloide, con farmaci che bloccano gli enzimi che la producono (beta-secretasi) o, in alternativa, anticorpi capaci addirittura di determinare la progressiva scomparsa di beta-amiloide già presente nel tessuto cerebrale. Questi anticorpi, prodotti in laboratorio e somministrati sottocute o endovena, sono in grado in parte di penetrare nel cervello e rimuovere la proteina, in parte di facilitare il passaggio della proteina dal cervello al sangue e la sua successiva eliminazione.Recenti tentavi terapeutici con questi farmaci nelle fasi anche iniziali di demenza si sono rivelati fallimentari, per cui ora queste terapie sono in fase avanzata di sperimentazione nelle forme prodromiche quali il Mild Cognitive Impairment o addirittura in soggetti normali che risultano positivi ai test per l’accumulo di beta amiloide (PET o esame del liquor cerebro-spinale). La speranza è che queste nuove strategie possano modificare il decorso della malattia, prevenendone l’esordio. Studi longitudinali hanno evidenziato che alcuni disturbi del sonno sono da considerare marker predittivi del possibile sviluppo di una patologia neurodegenerativa. Ci sono dati relativi alla eccessiva sonnolenza diurna che può manifestarsi alcuni anni prima della comparsa di una malattia di Parkinson. Un recentissimo studio condotto su 2457 soggetti, di età media di 72 anni, seguiti per oltre 10 anni, ha evidenziato che una durata del sonno notturno superiore a nove ore è associata a un rischio maggiore di sviluppare una qualsiasi forma di demenza. Un sonno disturbato è spesso presente nelle patologie neurologiche: ad esempio nel 70-90% dei pazienti con malattia di Parkinson, nell’80-90% dei pazienti con malattia di Alzheimer, nel 50-60% dei pazienti con sclerosi multipla. Il problema del sonno può essere legato alla patologia neurologica di per sé, al suo aggravamento o, a volte, anche alle terapie farmacologiche. Un esempio è la sindrome delle apnee notturne, che si osserva in oltre il 50% dei pazienti con ictus cerebrale. L’identificazione e il trattamento dello specifico disturbo del sonno comporta non solo un miglioramento della qualità della vita, ma, nel caso ad esempio dei pazienti con ictus, anche un migliore esito a breve e a lungo termine. Alcuni autori hanno anche evidenziato che, in pazienti con Alzheimer, il trattamento di una concomitante sindrome delle apnee ostruttive con l’apparecchio a pressione positiva d’aria (CPAP), può rallentare la progressione del deficit cognitivo. Ma può un sonno di buona quantità e qualità ridurre il rischio di malattie neurologiche? Studi condotti in modelli animali hanno evidenziato che la privazione di sonno accelera l’aggregazione di ß-amiloide (una proteina normalmente prodotta ma anche eliminata nel cervello sano) in placche extracellulari, che sono caratteristiche della malattia di Alzheimer. Dormire bene, curando anche eventuali disturbi del sonno, rappresenta un obiettivo importante nell’ambito di possibili strategie preventive per le malattie neurodegenerative. La Settimana mondiale del cervello (Brain Awareness Week, BAW) è promossa a livello internazionale dalla European Dana Alliance for the Brain in Europa e dalla Dana Alliance for the Brain Initiatives e dalla Society for Neuroscience negli Stati Uniti. Ad essa aderiscono ogni anno società neuroscientifiche di tutto il mondo, tra cui, dal 2010, anche la Società Italiana di Neurologia, oltre a numerosissimi enti, associazioni di malati, agenzie governative, gruppi di servizio e organizzazioni professionali di oltre 82 Paesi. La Società italiana di neurologia conta tra i suoi soci oltre 3000 specialisti neurologi e ha lo scopo istituzionale di promuovere, in Italia, il progresso della conoscenza delle malattie neurologiche, al fine di promuovere lo sviluppo della ricerca scientifica, di migliorare la formazione, di sostener l’aggiornamento degli specialisti e di elevare la qualità professionale nell’assistenza alle persone colpite da condizioni morbose che coinvolgono il sistema nervoso.