Si rafforzano i dati sul legame fra una rara forma di cancro e le protesi al seno. E’ la Fda (Food and Drug Administration) statunitense a tornare sulla questione, a 6 anni di distanza dall’avvertimento lanciato dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’agenzia regolatoria Usa già nel 2011 aveva parlato di un possibile link e ha ora rafforzato la sua posizione al riguardo, con un aggiornamento rimbalzato sui media internazionali. La Fda cita i dati di 359 donne – di cui 9 sono morte – che dopo l’impianto di protesi mammarie hanno sviluppato un tumore del sangue, una rara forma di linfoma non-Hodgkin: il linfoma anaplastico a grandi cellule (Alcl). L’update diramato viene considerato un trionfo dai ricercatori medici statunitensi. L’anno scorso era stata l’autorità regolatoria francese a intervenire sul nesso tra le protesi e questa malattia, ordinando ai produttori di dimostrarne la sicurezza oppure di affrontare il fatto che sarebbero state vietate. In Gb la Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency sta analizzando i report francesi e americani ai fini di un’eventuale presa di posizione, segnala il ‘Daily Mail’ online. Negli Usa i ‘ritocchi’ al seno sono il secondo intervento più popolare di chirurgia plastica, con circa 300 mila procedure eseguite l’anno. La Fda, nella nota diffusa ieri, precisa comunque che “tutte le informazioni disponibili al momento suggeriscono che le donne con protesi al seno hanno un rischio molto basso, seppur aumentato rispetto alle donne non sottoposte a impianto, di sviluppare Alcl. La maggior parte dei casi associati a protesi mammarie sono trattati con la rimozione della protesi e della capsula che la circonda. Alcune pazienti sono state trattate anche con chemio e radioterapia”. La scelta di aggiornare le linee guida è arrivata, spiega l’ente, in seguito a un recente aumento di prove circostanziali che evidenziano un possibile collegamento. E’ infatti a partire dal 1 febbraio 2017 che la Fda ha ricevuto un totale di 359 segnalazioni, e tra queste ci sono anche i report sulle 9 pazienti morte.