Sono passati 7 anni esatti dall’eruzione del vulcano islandese Eyjafjöll e dal blocco del traffico aereo che ne seguì. Un evento di portata storica, che dimostrò come le attività umane fossero vulnerabili e fragili anche nel XXI secolo di fronte ai fenomeni naturali.
L’immissione nell’atmosfera di enormi quantità di cenere, dovute al parziale scioglimento del ghiacciaio Eyjafjallajökull che ricopriva l’area del cratere, obbligò le autorità alla sospensione dei voli per intere settimane in tutto il continente europeo per il rischio di danneggiamento ai velivoli. Vennero cancellati decine di migliaia di voli, e milioni di passeggeri restarono a terra.
Il periodo peggiore fu fra il 14 ed il 23 aprile 2010, ma ci furono nuovi blocchi fino a maggio. Un anno dopo, nel 2011, ci fu un nuovo blocco, stavolta più ridotto.
L’attività vulcanica dell’Eyjafjöll, uno stratovulcano situato nel sud dell’Islanda ed il cui nome è stato spesso confuso con quello del ghiacciaio che lo ricopre, iniziò a fine 2009 dopo circa due secoli di inattività, incrementando fino all’eruzione del 20 marzo 2010 classificata di grado 1 nell’indice di esplosività vulcanica (VEI). Da allora e fino al 14 aprile 2010, l’attività fu di tipo effusivo.
Il 14 aprile iniziò una seconda fase eruttiva, di tipo esplosivo (anche se non particolarmente violenta). Fu a questo punto che il ghiacciaio che ricopriva l’area craterica venne a contatto con il magma incandescente fuoriuscito dal cratere: questa interazione generò una enorme colonna di cenere che durò per settimane. Il pennacchio raggiunse e superò gli 8 km di altezza ed iniziò a muoversi verso est spinto dai venti occidentali. In poche ore i venti trasportarono la nube di cenere su mezza Europa. La cenere vulcanica è formata da particelle di materiale prevalentemente siliceo di diametro inferiore ai 2 mm. Sono perciò estremamente sottili ed allo stesso tempo abrasive. Proprio questo costrinse le autorità alla chiusura degli spazi aerei, perché le minuscole particelle silicee possono portare alla rottura dei motori dei velivoli, ed anche all’abrasione dei finestrini, determinando un serio rischio di incidente.
Già il 14 aprile, esattamente 7 anni fa, iniziava il caos negli aeroporti: il Regno Unito chiudeva l’intero spazio aereo costringendo a terra oltre 400mila persone, seguito da Danimarca, Norvegia e Svezia. Anche la Francia chiudeva gli aeroporti di Parigi ed altre 23 città, seguito in serata dalla Polonia. Anche la Spagna sopprimeva ben 500 voli.
L’Italia risentiva subito della cancellazione dei voli per il Nord Europa. Ma quello era solo l’inizio di dieci giorni di passione. Solo due giorni dopo, il 16 aprile, la situazione iniziava a diventare emergenziale, almeno a vederla dal punto di vista della società moderna, caratterizzata da spostamenti rapidi sia commerciali che turistici. Ammontava già a milioni il numero di passeggeri a terra (molti dei quali accampati nelle sale d’aspetto degli aeroporti), ben 34.000 erano i voli cancellati, mentre i treni e i bus e in generale tutti gli spostamenti via terra venivano presi d’assalto.
Il 16 aprile l’ENAC, l’ente nazionale dell’aviazione civile italiano, bloccava la circolazione aerea sui cieli del Nord Italia. La situazione di blocco andò avanti fino al 23 aprile, quando a macchia di leopardo iniziarono a riprendere i voli. Tuttavia anche nelle settimane seguenti, fino al maggio 2010, ci furono nuovi blocchi dovuti alle nuove dispersioni di cenere sull’Europa.
La paralisi del traffico aereo, oltre a mettere a nudo le fragilità di uno dei pilastri della società moderna, la velocità nei collegamenti, ebbe importanti ripercussioni anche su eventi geopolitici, sportivi, artistici, oltre che effetti sulla vita di migliaia di persone (mancati appuntamenti, lavori perduti, eccetera).
Molti leader mondiali fra cui Obama e Sarkozy non riuscirono a raggiungere Cracovia in Polonia, dove il 18 aprile si svolgevano i funerali di Stato del presidente della Repubblica Kaczynski, morto in un controverso incidente aereo.
La cancelliera tedesca Merkel invece, che volava da Washington a Berlino, fu costretta ad atterrare in Italia ed a tornare in Germania in macchina. Ci furono poi effetti su partite di calcio, concerti, eventi fieristici. Meno spettatori, calciatori e rock band costrette a lunghi viaggi via terra. Treni e bus vennero presi d’assalto mentre i social network mostrarono in questo caso la loro utilità nel mettere in contatto passeggeri rimasti a terra, per condividere ad esempio il viaggio in automobile. Anche da lì prese forza il fenomeno del car-sharing diventato poi sempre più importante negli anni a venire.
Il blocco del traffico aereo fece ragionare anche sul risparmio di combustibile e sulle minori emissioni di gas serra da parte degli aerei rimasti a terra. Il blocco dell’industria
aerea europea fece risparmiare, secondo alcune stime circa 350.000 tonnellate al giorno di CO2 (anche se non bisogna scordare l’apporto di gas serra da parte del vulcano). Ne guadagnò anche l’inquinamento acustico. In quei giorni di primavera 2010 i cieli erano insolitamente privi di aerei in volo, e nelle aree prossime agli aeroporti regnava un insolito silenzio. L’evento fece ragionare anche sulla tangibilità delle distanze: montagne ed oceani tornavano ad essere l’ostacolo geografico di sempre, superabile solamente con lunghe ore di viaggio e con molta pazienza, e le migliaia di chilometri tornavano ad essere una distanza non banale, anche psicologicamente.