I presentimenti e quella innata capacità di prevedere: il sesto senso esiste davvero?

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È capitato a tutti di avere presentimenti che inducono a scegliere una direzione piuttosto che un’altra o a prendere una particolare decisione. Attribuiamo queste scelte al cosiddetto ‘sesto senso’, una sorta di istinto che ci spinge a scelte – spiega Rita Bugliosi sull’Almanacco della Scienza del CNR – che vanno oltre il ragionamento. Ma il sesto senso esiste davvero? “Gli organi di senso con i quali vengono raccolte le informazioni dall’ambiente sono solo cinque. A questi va aggiunto l’intuito, quando, anche senza rendercene conto, percepiamo dati dall’ambiente e li analizziamo attingendo alle nostre esperienze passate e sulla base di queste facciamo previsioni”, spiega Marzia Baldereschi dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr. “Una persona intuitiva sa dunque sfruttare bene e rapidamente il patrimonio fornitogli dall’esperienza e sa interpretare indizi percepiti anche in modo inconsapevole”.

Il sesto senso è definibile dunque come un ‘sapere senza vedere’, in cui inconsapevolmente si avverte una situazione in anticipo rispetto al reale accadimento, ovvero si prevede. “I neuroscienziati hanno definito questo fenomeno un”attività anticipatoria neuronale’ e recentemente uno studio della Scuola Normale Superiore di Parigi ha addirittura identificato aree e circuiti neurali del sesto senso, differenti a seconda del tipo di personalità”, continua Baldereschi. “In particolare, il senso di pericolo nelle personalità ansiose viene elaborato direttamente nella regione del cervello responsabile dell’azione, la corteccia prefrontale nel lobo frontale; in quelle più tranquille viene invece processato dai circuiti deputati al riconoscimento facciale, il giro fusiforme, che costituisce una parte del lobo frontale”.

Negli ultimi 20 anni le ricerche sul sesto senso si sono moltiplicate anche perché consentono approfondimenti in ambito medico. “Interessanti, in questo ambito, gli studi sulle persone cieche, dotate di ‘blind sight’, visone cieca o inconsapevole, dimostrata dallo psicologo di Oxford Lawrence Weiskrantz,” conclude la ricercatrice. “Nel blind sight i pazienti non vedenti riescono a usare le informazioni visive che arrivano ai centri di controllo motorio senza passare per le aree visive della corteccia, usando queste informazioni in modo inconsapevole, come guida per le loro azioni”.

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