Un’altra fase eruttiva dell’Etna è iniziata la mattina del 15 marzo con un nuovo episodio al Cratere di Sud-Est. L’attività eruttiva è stata caratterizzata sin da subito da una moderata attività esplosiva di tipo Stromboliano e dall’emissione lavica da una bocca apertasi a 3010 m di quota. La mattina del 16 marzo – spiega Stefano Branca nella newsletter INGV – la colata lavica avanzando in direzione SE, ed espandendosi sulla copertura nevosa, ha causato un improvvisa esplosione freatica a circa 2700 metri di quota. Qui la neve, al contatto con la lava, si è sciolta, formando delle pozze d’acqua che poi, vaporizzate dalla lava in avanzamento, ha prodotto un’esplosione con frammenti di lava incandescente, di dimensione decimetriche, a distanza di diverse centinai di metri.
Durante le fasi eruttive dell’Etna, i vulcanologi dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV-OE) sono impegnati in numerose attività multidisciplinari di monitoraggio sia per caratterizzare il fenomeno eruttivo sia per dare tempestive informazioni agli organi della protezione civile. Un continuo e puntuale aggiornamento cartografico delle aree coperte dalla colate laviche e dai prodotti dell’attività esplosiva, attraverso l’elaborazione di dati raccolti durante i sopralluoghi effettuati sul terreno e l’acquisizione di immagini aeree visibili e termiche riprese durante i sorvoli in elicottero. Ma le attività comprendono anche la mappatura delle bocche eruttive e delle morfologie ad esse associate e l’aggiornamento della morfologia dell’area sommitale. I campioni dei prodotti eruttati, effusivi ed esplosivi, raccolti durante i sopralluoghi, vengono poi analizzati nei laboratori dell’Osservatorio Etneo non solo per lo studio mineralogico e petrografico del materiale ma anche per la caratterizzazione delle proprietà fisiche del magma, al fine di comprendere la sua origine ed evoluzione all’interno dell’edificio vulcanico.
Prosegue, allo stesso tempo, anche un’intensa attività di monitoraggio geochimico, grazie all’analisi della composizione chimica e del flusso delle specie gassose presenti nel plume vulcanico, e alle sofisticate tecniche di telerilevamento in grado di interpretare i processi di risalita del magma lungo i condotti vulcanici e di definire i potenziali scenari eruttivi. Non mancano, infine, rilievi strutturali per ricostruire e monitorare i sistemi di fratturazione che interessano l’edificio vulcanico, a seguito dei processi di intrusione magmatica. Di fondamentale importanza è, infine, l’uso delle reti di videosorveglianza dell’Osservatorio Etneo, nel visibile e nel termico, distribuite nei vari vulcani attivi siciliani, permettendo di monitorare, in tempo reale, le variazioni sullo stato dei singoli vulcani. Tutte queste attività di monitoraggio vulcanologico vengono realizzate e sviluppate da un gruppo di ricercatori che porta avanti nel tempo la grande esperienza acquisita in questo campo a partire dall’eruzione laterale del 1971. In quell’anno i vulcanologi dell’allora Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania (dal 2001 INGV-OE) guidati da Alfred Rittmann (1893-1980), uno dei padri fondatori della vulcanologia moderna, intrapresero per la prima volta sull’Etna un approccio multidiscliplinare per lo studio dei fenomeni eruttivi.