Lavoratori e lavoratrici ‘over 50′ reagiscono in modo differente all’insorgere di gravi problemi di salute. Mentre, se fisicamente ristabiliti, gli uomini tendono a lavorare più ore, le donne preferiscono godersi più tempo libero. I single? Rischiano, più di altri, di uscire dal mercato del lavoro. Lo rivela uno studio pubblicato dalla rivista Labour Economics da due economiste italiane, Francesca Zantomio dell’Università Ca’ Foscari Venezia ed Elisabetta Trevisan dell’Università degli Studi di Padova. La ricerca, basata sulle indagini campionarie Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe e English Longitudinal Study of Ageing, che hanno coinvolto circa 130 mila ultracinquantenni, osservati per oltre un decennio, copre 16 paesi europei. Secondo le studiose, conoscere la diversità di reazioni e preferenze emerse tra uomini e donne costituisce un ingrediente fondamentale per progettare efficaci politiche di integrazione lavorativa e welfare. In media infatti, il primo episodio di infarto, ictus o cancro finisce col raddoppiare il rischio che un ultracinquantenne non lavori più. Il futuro lavorativo però si rivela cruciale per garantirne tenore di vita e benessere economico negli gli anni a venire. Di qui la necessità per la politica pubblica di un compromesso tra l’incentivo al lavoro ed il supporto al reddito nel caso si termini l’attività lavorativa. “Particolari politiche di integrazione lavorativa possono risultare inefficaci, e inefficienti, se progettate senza tener conto delle esigenze delle persone destinatarie – spiega Francesca Zantomio, professoressa di Economia al Dipartimento di Economia di Ca’ Foscari -. Chi percepisce il reddito principale in famiglia, tipicamente l’uomo, tende a lavorare di più, una volta ristabilito dopo lo shock. Politiche mirate di riqualificazione lavorativa o abbattimento delle barriere architettoniche, possono credibilmente supportare il reinserimento di questi lavoratori”. “La donna invece, se le condizioni economiche della famiglia lo permettono, preferisce avere più tempo libero dal lavoro, anche perché percepisce un accorciamento della propria speranza di vita – continua la studiosa – Non a caso, sono proprio le donne più istruite a ridurre maggiormente lo sforzo lavorativo, nonostante siano colpite da peggioramenti di salute meno gravi. In questo caso, potrebbe rivelarsi inappropriato insistere per un completo reinserimento lavorativo. Chi non ha un partner sul quale contare per un aiuto pratico, ad esempio nella cura personale o domestica, o nel trasporto al lavoro, mostra particolari difficoltà a rimanere attivo, anche se, proprio in assenza di altre entrate familiari, rischia di subirne pesanti ricadute finanziarie”. “Uno scenario così articolato – conclude l’economista cafoscarina – meriterebbe decisamente politiche lavorative e sociali più mirate”. (AdnKronos)