Italia tra gli ultimi della classe in Europa sui contagi in corsia. Ogni anno si verificano, in media, sei infezioni ogni 100 ricoverati in ospedale, come confermano le stime delle società scientifiche. Un dato simile agli altri Paesi del continente, ma con una differenza fondamentale: i batteri di casa nostra sono più ‘cattivi’, ovvero resistenti ai farmaci anche 10 volte di più rispetto ai Paesi più virtuosi. Le differenze regionali (come in molti altri settori della sanità) sono notevoli: difficile avere dati precisi, ma le stime variano dal 5% al 10% di ricoverati contagiati, con diverse Regioni che non rilevano nemmeno i dati. Manca, inoltre una strategia nazionale per il controllo delle infezioni ospedaliere e dell’antibioticoresistenza. Un ‘buco’ quest’ultimo che potrebbe essere colmato a breve, con il Piano ad hoc, a cui sta lavorando una commissione ministeriale, voluto dalla ministra della Salute Beatrice Lorenzin. Un provvedimento “ad ampio spettro”, come lo ha definito la stessa Lorenzin che “affronta – ha anticipato la ministra – innanzitutto il tema della messa in sicurezza degli ospedali, dei meccanismi di igienizzazione anche con ausili innovativi, oltre che il rispetto delle regole base come lavarsi le mani”. Nel documento anche “una attenzione maggiore alla diagnostica rapida “, aggiunge all’Adnkronos Salute Stefania Stefani che ha collaborato in rappresentanza della Società italiana di microbiologia (Sim). E forse, potrebbe accogliere anche la suggestiva proposta della Società italiana malattie infettive e tropicali (Simit) che pure ha partecipato al lavoro sul Piano, di una ‘patente’ per la prescrizione degli antibiotici più innovativi e che rappresentano, per alcune infezioni, l’ultima arma a disposizione per vincerle. “Non si tratterebbe di una limitazione alla prescrizione o di qualche forma di divieto – rassicura Marco Tinelli, segretario nazionale Simit – ma di una misura basata sulla formazione periodica, annuale, perché l’epidedomiologia cambia. Insomma una regolamentazione non restrittiva ma intelligente che speriamo sia accolta”. Insomma: a prescrivere alcuni farmaci potrebbero essere solo i medici appositamente formati. Il Piano sollecitato anche dall’Unione europea dovrà aiutare l’Italia a ridurre il gap con gli altri Paesi e fornire indicazioni uniformi alle Regioni per controllare il fenomeno. “E’ un problema che allarma in tutto il mondo – precisa Tinelli all’Adnkronos Salute – Le infezioni ospedaliere, a causa della resistenza ai farmaci rappresentano un grande rischio. Si calcola che siano 700 mila i decessi ogni anno a livello mondiale. E per i Cdc (Centers for disease control and prevention) americani sono 23 mila i decessi l’anno negli Usa”. Purtroppo il trend è in crescita, “secondo alcune stime – continua Tinelli – nei prossimi 25-30 anni si potrebbe arrivare, a livello mondiale, a 9 milioni”. Per quanto riguarda L’Italia “la situazione è a macchia di leopardo. Con ospedali e Regioni virtuose e altre realtà non altrettanto positive. In generale – ammette l’esperto – siamo un fanalino di coda nel vecchio continente per quanto riguarda il contrasto alla resistenza ai farmaci”. Tra i batteri più ‘cattivi’, Klebsiella pneumoniae, multiresistente: dal 2012 al 2015 è passata dal 29% al 35 % per quanto riguarda la resistenza ai carbapenemi (antibiotici di ultima generazione, l”ultima spiaggia’ insomma). La media è dell’8,1% in Europa. Tre volte in meno. E si arriva a 10 volte se si considerano i Paesi più virtuosi. Per lo stafilococco aureo, in controtendenza, la resistenza è passata dal 45% al 34%. “Sembra un buon risultato, ma anche in questo caso la media europea è più bassa, arriva al 16%”. In realtà in Italia, ad oggi, non esiste un sistema di sorveglianza nazionale, perché nel nostro Paese non ci sono ancora sistemi di rilevazione attiva dei dati con personale dedicati ma sono stati condotti numerosi studi multicentrici di prevalenza. Ed è sulla base di questi e delle indicazioni della letteratura, che si può stimare – come indica Epicentro curato dal Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della Salute dell’Istituto superiore di sanità – che nel nostro Paese il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera. Ogni anno, quindi, si verificano in Italia 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (135-210 mila) e che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (1350-2100 decessi prevenibili in un anno). Proprio per far fronte a questa situazione è stato costituito il gruppo ministeriale che entro la primavera, a quanto si apprende, emanerà il piano di contrasto all’antibiotico resistenza e di cui circola già una bozza. “Fondamentalmente – aggiunge Tinelli – si definiranno misure per la riduzione dell’uso umano e veterinario degli antibiotici, per migliorare l’informazione e per mettere alcuni paletti alla prescrizione”, oltre che a favorire, come ribadisce Stefania Stefani, l’uso di test per l’identificazione rapida dei patogeni. Finalmente il nostro Paese – ha detto Gaetano Privitera, presidente della Società italiana multidisciplinare per la prevenzione delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie (Simpios) – potrà avere quadro normativo nazionale di riferimento su questi temi. Le ultime circolari in materia datavano 1985 e 1997. Alcune indicazioni erano già presenti nel Piano prevenzione. Ma non era abbastanza, considerando che la situazione italiana è la peggiore a livello europeo”. “I professionisti aspettavano da tempo norme di riferimento per riavvicinarci agli standard europei più elevati, in alcune realtà già raggiunti ma serve uniformità e tutela sull’intero territorio”. In Italia, continua Privitera, “le percentuali di infezioni ospedaliere sono nella media, intorno al 6%. Ma le infezioni sono più gravi e più a rischio di esiti letali, ci sono più sepsi e infezioni del sangue. C’è un maggior numero di infezioni legate ai cateteri vascolari, non correttamente applicati. Un paziente su due in ospedale riceve almeno un antibiotico, un consumo non giustificato per circa il 50% dei casi”. (AdnKronos)