Gli insetti rappresentano l’80% delle specie viventi sulla Terra, secondi per numero solo ai batteri. E nonostante garantiscano la sopravvivenza delle comunità vegetali di ogni ecosistema grazie all’impollinazione, si tratta della classe animale che ha visto estinguersi il maggior numero delle proprie specie a causa dell’uomo. Generalmente poco amati, c’è un’eccezione: le farfalle. Però, in Italia, il 13% delle farfalle diurne è classificato come a rischio estinzione, su un totale di 288 specie autoctone inserite nella Lista Rossa Iucn. Un nefasto gradino più alto del podio dell’estinzione lo occupa l’Euphidra maturna, presente ormai con una sola popolazione in provincia di Cuneo; poi otto specie, tra le quali la Papilio Alexanor, vivono escluviamente in manciate di ettari in Piemonte, Valle d’Aosta, in Sardegna centrale e sulle Isole pontine. E non manca chi, come la Melitaea britomartis, durante lo svernamento soffre l’innalzamento delle temperature invernali e a causa dell’assottigliamento dei manti nevosi sull’arco alpino. A fare il punto sullo stato di salute delle farfalle italiane ed europee è il Parco Natura Viva di Bussolengo, in occasione della liberazione di specie autoctone che avverrà domenica 28 maggio nell’ambito della campagna europea ”Let it grow – Lascialo crescere!”, per il ritorno delle specie tipiche della biodiversità locale. ”Contrariamente a quanto si immagini – spiega Francesco Barbieri, entomologo per il Parco natura Viva – le farfalle italiane sono legate agli ambienti aperti dei pascoli e delle praterie, dove svolgono il ruolo cruciale dell’impollinazione. Questi ecosistemi tuttavia stanno subendo un progressivo abbandono da parte dell’uomo, provocando la riforestazione naturale dell’ambiente e la chiusura dello spazio vitale per questi animali“. “La loro distribuzione limitata poi – aggiunge l’esperto – non ne aiuta né il monitoraggio né la conservazione. E non va meglio in Europa, dove la percentuale del rischio estinzione sale al 19%”. Oltre alla riconversione del territorio, un ulteriore fattore di minaccia è da imputare al cambiamento climatico, soprattutto per le specie d’alta quota.