C’è chi guarda al quattrozampe di casa come a un figlio, chi lo accoglie sotto le coperte e chi lo veste con abiti griffati. Ma quando la condivisione sconfina anche sui farmaci, “diventa un problema serio. Ancora troppi danno medicine dell’uomo agli animali da compagnia, senza chiedere al veterinario che potrebbe invece spiegare come tutto questo non è consentito, se non in casi del tutto eccezionali”. A lanciare l’allarme sono proprio i ‘medici di fiducia’ degli animali, oggi a margine di un incontro promosso a Milano per presentare una ricerca sul tema della Salute e della prevenzione condotta da Gfk Eurisko e commissionata da Msd Animal Health. Il fenomeno dei farmaci umani dati ai pet “è diffuso, anche se meno di 10-20 anni fa, perché intanto la farmacologia veterinaria ha messo a disposizione più farmaci, con un costo più vicino a quelli umani – segnala Emanuele Minetti, presidente dell’Anmvi (Associazione nazionale medici veterinari italiani) Lombardia e coordinatore Italia Nord Ovest – Questa forma di ‘automedicazione’ è un grosso problema. Le persone devono capire che un cane da un chilo non è come un uomo da 70 chili, che gli eccipienti dei farmaci veterinari sono studiati per cani e gatti e non per bimbi o uomini, le presentazioni sono su misura: le medicine per esempio sanno di carne più che di lampone. E’ importante perché molti farmaci pensati per l’uomo sono amari. Frazionando compresse di antibiotici a uso umano non si può sapere con esattezza quanto se ne sta dando, e si rischia concretamente di sbagliare dosi. Ma ancora prima va precisato che l’utilizzo di un farmaco umano negli animali viene fatto contro la legge”. Legge che, precisa Roberto Villa, professore ordinario di farmacologia e tossicologia veterinaria all’università degli Studi di Milano, “prevede l’utilizzo ‘in deroga’ di farmaci umani solo se non esiste un prodotto a uso animale idoneo per il tipo di patologia da curare. In questi casi eccezionali si può ricorrere a un medicinale registrato per un’altra specie e, se non c’è, a uno registrato per l’uomo. Se un veterinario lo prescrive senza seguire queste regole va incontro a sanzioni di migliaia di euro”. Le aziende farmaceutiche del settore Salute animale hanno provato a definire i contorni del problema. “Secondo un’indagine dell’Aisa (Associazione nazionale imprese Salute animale) – spiega Paolo Sani, amministratore delegato Msd Animal Health – si stima che ci sia una sovrapposizione del farmaco umano sul mercato veterinario che vale 80 milioni di euro”. Ottanta milioni di euro “su un mercato – quello che riguarda i soli animali da compagnia – che in Italia è di circa 310 milioni di euro”. Si ricorre ai farmaci dell’uomo per curare i pet “per motivi di risparmio economico, ma talvolta anche perché si è convinti di trattare meglio il proprio animale dandogli un medicinale studiato per l’uomo – osserva Villa – Il rischio è legato alle diverse caratteristiche di assorbimento ed eliminazione, ai dosaggi non corretti. E’ un uso empirico. Se poi ragioniamo in termini di resistenza batterica, il suo potenziale è spesso favorito da un utilizzo e un dosaggio non corretti”. L’abuso, prosegue, “è più diffuso per i pet. Per gli animali da allevamento esiste lo stesso vincolo di legge, ma anche l’obbligo di utilizzare solo farmaci che contengano principi attivi e eccipienti che siano stati valutati a livello europeo per la loro sicurezza non solo animale ma nell’uomo e nell’ambiente. Deve esserci la valutazione dei limiti massimi residuali e in presenza di questi requisiti è consentito l’utilizzo in deroga. Per questi vincoli e per i maggiori controlli che esistono in questo settore il fenomeno è meno diffuso, se non in specie minori dove ci sono vuoti terapeutici (come la faraona o il coniglio)”. Ma un punto fermo è che “la prescrizione di un farmaco a un animale la fa il medico veterinario al termine di un iter che porta a una diagnosi precisa e questo consente di dare la terapia adatta e su misura – ribadisce Minetti – Il farmaco umano in versione fai-da-te esce da questo circuito. Spesso si usa erroneamente il medicinale che c’è in casa, aperto o mal conservato. Quello che magari si è usato per il proprio figlio o quello dato da un amico. Con il rischio che sia anche scaduto. Sono storture pericolose per i nostri animali. Anche perché alcuni farmaci umani non si possono proprio usare nel cane o nel gatto. La ricetta è prerogativa del medico. Invece, spesso il proprietario chiede consigli di Salute al titolare del negozio per pet, all’allevatore o al farmacista”. L’uso di medicinali umani sugli animali “è sbagliato anche se costano di più”, incalza Minetti. I generici esistono, “i costi sono più alti perché sono richiesti studi sugli animali e perché il mercato è più piccolo – un anno di fatturato in quest’area può valere come tre mesi di un farmaco umano – e il rischio è che di conseguenza le aziende abbiano meno da investire anche in ricerca e sviluppo. E’ un circolo vizioso. Un cane o un gatto non possono decidere della propria Salute, la ‘patria potestà’ è del proprietario. E quindi bisogna agire con responsabilità. Per la Salute di tutti. (AdnKronos)