Si chiama “#fermiamolabalena” ed è un’estensione di “#adessoparloio” e la chat di WhatsApp 3482574166, creata per rispondere al bisogno dei ragazzi vittime di bullismo. L’iniziativa, volta a contrastare il fenomeno ‘blue whale’, il ‘gioco’ a sfide sul web che arriva a spingere i giovani partecipanti fino al suicidio, nasce dalla collaborazione tra Casa Pediatrica ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano, Osservatorio Nazionale Adolescenza e Pepita Onlus. L’obiettivo del progetto “è rimettere ordine: riportare al centro il valore educativo del dialogo e accogliere le paure dei ragazzi, ma anche rassicurare gli adulti affinché riacquistino il loro ruolo guida senza demonizzare la Rete“.
“Si parla di 15O vittime, ma i dati sono tutti da verificare – spiega Luca Bernardo, Direttore di Casa Pediatrica -, come d’altro canto dobbiamo accertare in quali e quante nazioni europee si stia diffondendo il fenomeno. Questo spetta alle forze dell’ordine e alla magistratura, a noi i numeri interessano relativamente; anche un solo adolescente, o pre adolescente, che decida di interessarsi a questo gioco, non deve essere sottovalutato”. “Il Centro nazionale di prevenzione e contrasto del cyberbullismo e dei fenomeni illegali della Rete che ha sede presso la nostra Casa Pediatrica – prosegue Bernardo – sta monitorando da tempo questo sistema virale e perverso, già dalle sue prime manifestazioni nel deep web. Si tratta di un sistema che circuisce e spinge il minore, tra i 9 e i 17 anni in un vortice di nichilismo, mosso dal coraggio di accettare un certo numero di sfide. All’inizio apparentemente lecite: dal fermare uno sconosciuto per strada a dichiarare il proprio amore, per poi virare su verso l’autolesionismo, fino a quel salto nel vuoto dal punto più alto della città. Non si tratta di gioco, bensì di morte, una morte pianificata istante dopo istante“.
“Sono tanti i rischi nella rete per le nuove generazioni, ma siamo noi adulti” – conclude – “a dover mostrare loro la bellezza della vita, che prescinde dalle belle e dalle brutte giornate che ognuno di noi può ricordare. La vacuità, l’oblio e il silenzio che attanaglia molti, moltissimi giovani, in età sempre più precoce, risultano oggi tanto più incisivi quanto effimero appare lo strumento dal quale si diffondono. Il web di virtuale non ha nulla, soprattutto per i soggetti più sensibili. Perché la rete esaspera i sentimenti e, quindi, le fragilità. Ecco perché i social network devono essere richiamati alla loro corresponsabilità. La viralità delle informazioni deve fare un passo indietro di fronte al pericolo di emulazione“.
Secondo Maura Manca, Presidente Osservatorio Nazionale Adolescenza, “per capire quando un figlio rimane incastrato nella rete delle sfide estreme, delle challenge, dei giochi pericolosi o autolesionistici o frequenta gruppi chiusi sul suicidio o simili, bisogna conoscerlo nelle sue abitudini e nella quotidianità perché la maggior parte delle volte i segnali che lanciano non sono particolarmente evidenti“. “Non si deve fare l’errore di attribuire tutto alla fase adolescenziale – commenta la Manca – ma osservare la frequenza e la tipologia dei loro comportamenti, atteggiamenti e umore. Le variazioni possono essere legate alle abitudini alimentari, del sonno, del modo di vestirsi, al fare cose che prima non facevano e soprattutto alla tipologia di contenuti di ciò che pubblicano sui social. Trascorreranno molto più tempo attaccati agli schermi, saranno più schivi e più attenti alle notifiche. Attenzione anche ai discorsi che fanno e alle variazioni dell’umore o del rendimento scolastico”.
“Bisogna comunque sottolineare” – conclude la psicoterapeuta – “che per rimanere incastrati in questi gruppi e giochi ci deve già essere una predisposizione che li rende adescabili, determinati tratti di personalità e una bassa autostima, non basta solo la tipica curiosità adolescenziale o la ricerca della sfida e del rischio. Quando si ha un sospetto si deve parlare immediatamente con loro, cercare di capire cosa sta succedendo, senza fermarsi al loro “sto bene, non ho niente”, se serve si deve parlare anche con gli amici e capire cosa fanno in rete, senza invadere troppo la loro intimità”.
“Mi rivolgo direttamente ai ragazzi: fermatevi e pensate” – esordisce Ivano Zoppi, Presidente di Pepita Onlus – “Fermatevi davanti a chi vi dice che per provare brividi occorre mettere in gioco la propria sicurezza, la propria vita. Fermatevi davanti a chi cerca di convincervi che superare delle sfide in cui si distrugge la propria vita e quella di chi ci sta attorno, sia una strada verso la “libertà”. “Pensate, prima di decidere di partecipare a giochi di questo tipo, a quali pericoli andrete incontro – prosegue Zoppi -. Pensate a qualcuno con cui parlare, a cui confidare le vostre preoccupazioni e gli stati d’animo. Ciascuno di voi è opera d’arte: unica, preziosa, originale ed irripetibile. E come tale deve proteggersi, prendersi cura della propria identità; le opere d’arte non si distruggono, non si sfregiano. Mi rivolgo anche a quei ragazzi che conoscono coetanei che “minacciano”, “confidano” di voler partecipare a questi giochi perché la loro vita non ha un senso o perché non si sentono amati: aiutateci a fermarli, a fargli capire quanto sia preziosa la loro vita e che basta guardare a pochi metri da noi per trovare qualcuno con cui confidarsi, parlare, confrontarsi, per sentirsi vivi. Fermiamoci e pensiamo”.