Maschio ‘grande assente’ quando la coppia cerca un bimbo che non arriva. Lo segnalano gli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) nel corso del loro Congresso nazionale a Milano Marittima, nella sessione dedicata alla fertilità. “L’infertilità maschile ha subito negli ultimi anni una forte impennata e il fattore maschile è esattamente sovrapponibile a quello femminile. Ciò nonostante, mentre si moltiplicano i programmi di prevenzione per la donna, spesso si tralascia o si trascura del tutto l’altra metà della coppia“, commenta Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore dell’Università Federico II di Napoli. “Dal confronto a livello nazionale delle nostre esperienze – riferisce – emerge che il 25% delle coppie infertili ‘salta’ diagnosi e cure dell’infertilità maschile, che consentirebbero di evitare almeno 8 mila Pma l’anno“. Con un risparmio “di oltre 150 milioni di euro“. “Inoltre – continua Palmieri – nei casi in cui la procedura resti indispensabile, si potrebbe migliorare fino al 50% la probabilità di successo, visto che una su due è tuttora destinata a fallire“. Senza contare che “le procedure sono spesso ‘pesanti’, dato che l’80% delle coppie viene sottoposto a terapie di secondo e terzo livello, come ad esempio la Fivet. Il nostro obiettivo deve essere innanzitutto una ‘procreazione naturalmente assistita’, con un percorso che non inizi ‘dal fondo’ con la Pma, ma veda ginecologo e andrologo collaborare in tandem, partendo dalla diagnosi delle problematiche che impediscono la gravidanza, e cercando in prima battuta di risolvere queste per arrivare a un concepimento naturale. La Pma deve rappresentare l’ultima spiaggia di approdo e non essere vissuta come una scorciatoia“. Peraltro, esiste anche una normativa per cui si potrebbe accedere alla Pma solo con la certificazione che il maschio non può essere curato: nella realtà invece, affermano gli esperti, accade esattamente il contrario e si arriva a valutare il maschio dopo e non prima il ricorso alla Pma. Anche i nuovi Livelli essenziali di assistenza danno ampio spazio alla Salute riproduttiva tanto dell’uomo che della donna, evidenziando l’importanza della consulenza preconcezionale in entrambi i partner e della prevenzione attraverso corretti stili di vita che preservino la fertilità. Una novità purtroppo giustificata dai numeri: negli ultimi 30 anni l’infertilità maschile è raddoppiata, e oggi si stimano 2 milioni di italiani ipo-fertili e oltre 250 mila coppie ritenute infertili. Alcol, fumo, obesità, sedentarietà, alimentazione scorretta, abitudini sbagliate come lìutilizzo di indumenti intimi stretti, infezioni trascurate, ma anche la diagnosi tardiva di patologie come il varicocele, sono tutti fattori che stanno compromettendo la fertilità maschile. Inoltre occorre ricordare che anche l’uomo ha il suo orologio biologico, e la sua capacità riproduttiva dopo i 40 anni diminuisce con il passare del tempo, dicono gli esperti. “Mettere in campo le corrette pratiche di prevenzione, diagnosi e terapia significherebbe intercettare i problemi di queste coppie almeno 10 anni prima – afferma Bruno Giammusso, presidente Commissione scientifica Sia – L’esame seminale per esempio è uno dei primi passi da compiere, in sinergia col ginecologo che conduca analoghi test diagnostici nella partner: l’analisi degli spermatozoi è infatti in grado di dirimere da subito il 50% delle cause di infertilità di coppia e indirizzare quindi i futuri approfondimenti diagnostici o terapeutici per aumentare la percentuale di gravidanze spontanee e ridurre il ricorso a tecniche di Pma complesse, determinando una cospicua riduzione dei costi assistenziali. Inoltre, bonificare il quadro seminale tenendo conto non solo del numero, della motilità e della concentrazione degli spermatozoi, ma anche di parametri funzionali non convenzionali come la frammentazione del Dna, significa migliorare la capacità dello spermatozoo di fertilizzare l’ovocita e la qualità dell’embrione che nasce, e in ultima analisi incrementare le probabilità di successo della Pma“.