Carcinoma uroteliale: pembrolizumab migliora la sopravvivenza

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Confermata l’efficacia di pembrolizumab nel trattamento del carcinoma uroteliale. Lo dimostrano i risultati aggiornati di KEYNOTE-045 e KEYNOTE-052, due studi sperimentali con pembrolizumab, farmaco appartenente alla classe anti-PD-1, in pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico. Questi dati, che comprendono i risultati aggiornati di sopravvivenza e le analisi dei biomarcatori, dimostrano ulteriormente il potenziale di pembrolizumab come terapia di seconda linea in pazienti dopo fallimento del trattamento contenente platino e in prima linea in pazienti non eleggibili alla terapia contenente cisplatino. In particolare, nel trattamento di seconda linea, pembrolizumab ha migliorato la sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia, con 10,3 mesi vs 7,4 mesi, e in prima linea, il farmaco ha fatto registrare un ORR (tasso di risposta globale) del 29%. I risultati sono stati presentati in due sessioni orali al Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) a Chicago (Abstract N. 4501 e N. 4502).
“Il prolungarsi dell’efficacia e la stabilità del profilo di sicurezza con pembrolizumab, osservate nel trattamento dei tumori uroteliali della vescica, sono notevoli e rafforzano il suo ruolo come nuovo standard di cura – afferma il dott. Andrea Necchi, Dirigente medico del Dipartimento di Oncologia Medica dell’INT di Milano -. La storia dei pazienti con carcinoma uroteliale metastatico sta per cambiare in modo importante. L’ente regolatorio americano (FDA) ha approvato a maggio pembrolizumab per il trattamento del carcinoma uroteliale metastatico dopo fallimento di chemioterapia contente platino (in base ai risultati di KEYNOTE-045) e per il trattamento in prima linea di pazienti che, per particolari condizioni cliniche, non possono essere sottoposti a chemioterapia con cisplatino (KEYNOTE-052). Negli ultimi 30 anni, nonostante gli sforzi della ricerca, nessuna terapia farmacologica è riuscita a migliorare la prognosi di questi pazienti. Pembrolizumab è la prima molecola immuno-oncologica che ha mostrato in uno studio di fase III (Keynote 045) un vantaggio in sopravvivenza statisticamente significativo in pazienti pretrattati con platino. Altro dato molto interessante è che a fronte di questo vantaggio in sopravvivenza, è stato dimostrato un miglioramento statisticamente significativo nella qualità di vita dei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia. Questi dati rappresentano un importante progresso per i pazienti con questa malattia che storicamente hanno avuto limitate opzioni di trattamento e nessun beneficio in termini di sopravvivenza”.
“I nuovi dati di questi studi, presentati all’ASCO, mostrano l’efficacia di pembrolizumab in questi pazienti e confermano ulteriormente i benefici di sopravvivenza osservati nel trattamento di seconda linea dopo fallimento della terapia con platino” spiega il Dr. Roger Dansey, Senior Vice President e Direttore Area Terapeutica, Oncology late-stage development, Merck Research Laboratories. “Questi due studi hanno supportato la recente approvazione di pembrolizumab in questi ambiti di trattamento e crediamo fermamente siano le basi del nostro importante programma di sviluppo clinico nel tumore della vescica”.
Il programma di sviluppo clinico di pembrolizumab comprende più di 30 tipi di tumori in più di 500 studi clinici, tra cui più di 300 che combinano pembrolizumab con altri trattamenti contro il cancro. Attualmente Merck ha il più ampio programma di sviluppo clinico in immuno-oncologia nel tumore della vescica con 29 studi in corso che coinvolgono pembrolizumab in monoterapia e in combinazione, compresi 4 studi pre-registrativi.

KEYNOTE-045: Dati del trattamento in seconda linea dopo fallimento della terapia contenente platino (Abstract #4501)
KEYNOTE-045 è uno studio multicentrico di fase III, randomizzato, con controllo attivo, che ha analizzato pembrolizumab in 542 pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico in progressione durante o dopo chemioterapia contenente platino. I pazienti con malattia autoimmune o condizioni cliniche che richiedano immunosoppressione sono stati esclusi dallo studio. I pazienti sono stati randomizzati a pembrolizumab 200 mg ogni tre settimane (n=270) oppure a uno dei seguenti regimi chemioterapici, tutti somministrati per via endovenosa, ogni tre settimane (n=272): paclitaxel 175 mg/m2, docetaxel 75 mg/m2 o vinflunina 320 mg/m2. Il trattamento è proseguito fino a tossicità inaccettabile o progressione di malattia; quelli non in progressione sono stati trattati fino a un massimo di 24 mesi. Gli endpoint primari erano la sopravvivenza globale (OS) e la sopravvivenza libera da progressione (PFS), valutata con revisione centrale indipendente in cieco (BICR) secondo i criteri RECIST (Response Evaluation Criteria in Solid Tumors), vers.1.1. Ulteriori misure dell’efficacia comprendevano il tasso di risposta globale (ORR), valutata con BIRC secondo i criteri RECIST, vers.1.1. L’efficacia è stata valutata in tutti i pazienti, anche in quelli che esprimevano PD-L1. L’espressione di PD-L1 è stata valutata utilizzando il combined positive score (CPS) con un cut off del 10% (CPS >10%) (braccio con pembrolizumab: n = 74/270; braccio con chemioterapia: n = 90/272).
I dati presentati all’ASCO si basano su un follow-up più lungo (mediana di 18,5 mesi al 18 gennaio 2017; range: 14,2 – 26,5) e hanno mostrato un miglior vantaggio continuativo con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia nel trattamento di seconda linea di pazienti con carcinoma uroteliale avanzato in progressione durante o dopo chemioterapia contenente platino, indipendentemente dall’espressione di PD-L1.
L’analisi degli endpoint primari ha indicato una OS significativamente più lunga con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia (10,3 mesi vs 7,4 mesi) (HR 0,70; IC 95%: 0,57 – 0,86; p = 0,0004). Come riportato in precedenza, non si è verificato alcun significativo miglioramento della PFS in entrambi i bracci (HR 0,96; IC 95%: 0,79 – 1,16, p= 0.32). La PFS mediana è risultata di 2,1 mesi (IC 95%: 2,0 – 2,2) con pembrolizumab e 3,3 mesi (IC 95%: 2,4 – 3,5) con la chemioterapia. Il tasso di PFS a 6 mesi era 28,8% con pembrolizumab e 28,4% con la chemioterapia, mentre il tasso di PFS a 12 mesi era rispettivamente 17,6% e 7,9%.
L’analisi degli endpoint secondari ha mostrato un ORR più alto e una più lunga durata mediana della risposta con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia. Nei pazienti trattati con pembrolizumab l’ORR era 21,1%, con un tasso di risposte complete del 7,8% e di risposte parziali del 13,3%. Nei pazienti trattati con la chemioterapia l’ORR era 11,0%, con un tasso di risposte complete del 2,9% e di risposte parziali dell’8,1%. Tra i pazienti che hanno risposto al trattamento, il 69% di quelli trattati con pembrolizumab ha mostrato risposte che sono durate un anno o più, rispetto al 36% di quelli in chemioterapia. La durata mediana delle risposte non è stata raggiunta nel braccio con pembrolizumab (range: 1,6+ – 20,7+) ed era di 4,4 mesi nel braccio con la chemioterapia (range: 1,4+ – 20,3+). Il tempo mediano alla risposta è stato di 2,1 mesi in entrambi i bracci (range: 1,4 – 6,3 con pembrolizumab vs 1,7 – 4,9 con la chemioterapia).
Ulteriori analisi basate sull’espressione di PD-L1 hanno mostrato che la significatività nella sopravvivenza globale è stata mantenuta nei pazienti i cui tumori esprimevano PD-L1 (HR 0,57; IC 95%: 0,38 – 0,86, p = 0,0034). La differenza di ORR nei pazienti con tumori che esprimevano PD-L1 è stata mantenuta, con un ORR del 20,3% nel braccio con pembrolizumab (6,8% per le risposte complete e 13,5% per le risposte parziali), rispetto al 6,7% nel braccio con la chemioterapia (tasso di risposte complete 2,2% vs tasso di risposte parziali 4,4%).
Il profilo di sicurezza di pembrolizumab è in linea con quello osservato negli studi precedentemente riportati. Le reazioni avverse legate al trattamento (di grado 3-5 osservate del 10% o più dei pazienti) erano diarrea, fatigue, anemia, prurito, nausea, astenia e diminuzione della concentrazione di neutrofili. Reazioni avverse immuno-mediate (di grado 3-5 nel 2% o più dei pazienti ) erano polmonite, colite, gravi reazioni cutanee, nefrite e insufficienza surrenalica.

KEYNOTE-052: Dati del trattamento in prima linea in pazienti non eleggibili a terapia con cisplatino (Abstract #4502)

KEYNOTE-052 è uno studio multicentrico, in aperto, a singolo braccio, che ha valutato pembrolizumab in 370 pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico, non eleggibili alla chemioterapia contenente cisplatino. I pazienti con malattia autoimmune o con condizioni cliniche che richiedevano corticosteroidi o altri farmaci immunosoppressivi sistemici sono stati esclusi dallo studio. I pazienti sono stati trattati con pembrolizumab alla dose di 200 mg ogni tre settimane fino a tossicità inaccettabile o progressione della malattia, mentre i pazienti non in progressione sono stati trattati fino a un massimo di 24 mesi. Lo studio includeva una fase iniziale (primi 100 pazienti arruolati), utilizzata per identificare il ‘cut-point’ del combined positive score (CPS) di espressione del PD-L1, e una fase di validazione, con i successivi 270 pazienti (valutabili) per convalidare il ‘cut-point’ di CPS. Gli endpoint primari comprendevano il tasso di risposta globale (ORR) in tutti i pazienti arruolati nello studio (popolazione totale) e nei pazienti con tumori PD-L1 positivi (espressione 1% o superiore). Gli endpoint secondari includevano la durata della risposta, il tasso di sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale. La risposta tumorale è stata misurata secondo i criteri RECIST, vers. 1.1, con revisione centrale indipendente.
I risultati, su 270 pazienti e un follow-up più lungo, presentati all’ASCO mostrano che nel trattamento di prima linea molti pazienti con carcinoma uroteliale avanzato non eleggibili al trattamento con cisplatino, trattati con pembrolizumab, continuano a manifestare risposte clinicamente significative e durature. Mentre questo beneficio è risultato indipendente dall’espressione di PD-L1, il più alto tasso di risposta globale risultava nei pazienti con espressione di PD-L1 pari al 10% o superiore (CPS ? 10%).
Nella popolazione totale dello studio (n = 370), l’analisi di efficacia ha mostrato un ORR del 29% (IC 95%: 24 – 34), con un tasso di risposte complete del 7% (IC 95%: 5 – 10) e di risposte parziali del 22% (IC 95%: 18 – 27). Una riduzione delle lesioni target rispetto alla valutazione iniziale è stata osservata nel 58% dei pazienti. Al momento dell’analisi il 67% delle risposte erano in corso, di queste l’82% con una durata di sei mesi o superiore. La durata mediana della risposta non era stata raggiunta al momento dell’analisi (IC 95%: 12 mesi – non raggiunto). Il tempo mediano di risposta era di due mesi (range: 1 – 9).
I risultati sono anche stati valutati sulla base dell’espressione di PD-L1. Nel gruppo iniziale (primi 100 pazienti), nei pazienti con espressione di PD-L1 < 10% (CPS <10), il tasso di risposta globale è stato pari al 17% (IC 95%: 9 – 28), con un tasso di risposte complete del 5% (IC 95%: 1 – 13) e un tasso di risposte parziali del 12% (IC 95%: 5 – 23); nei pazienti con espressione di PD-L1 uguale o superiore al 10% (CPS ?10), l’ORR era 37% (IC 95%: 20 – 56), con un tasso di risposte complete del 13% (IC 95%: 4 – 31) e un tasso di risposte parziali del 23% (IC 95%: 10 – 42). Nel gruppo di validazione (tutti i pazienti arruolati escludendo quelli nel gruppo iniziale), nei pazienti con espressione di PD-L1 < 10% (CPS <10), il tasso di risposta globale ORR è stato 23% (IC 95%: 17 – 29), con un tasso di risposte complete del 3% (IC 95%: 1 – 6) e un tasso di risposte parziali del 20% (IC 95%: 15 – 27); nei pazienti con espressione di PD-L1 uguale o superiore al 10% (CPS ?10), l’ORR era 51% (IC 95%: 40 – 63), con un tasso di risposte complete del 18% (IC 95%: 10 – 28) e un tasso di risposte parziali del 34% (IC 95%: 24 – 45).
L’analisi esplorativa del tasso di risposta globale utilizzando un profilo di espressione genica (GEP) di cellule T infiammatorie a 18 geni ha indicato un’associazione significativa con la risposta (p < 0,05) e con un numero apprezzabile di ulteriori ‘responder’, rispetto ai pazienti con tumori positivi a PD-L1 (CPS ?10%).
Il profilo di sicurezza di pembrolizumab è in linea con quanto osservato in studi precedenti. Gli eventi avversi legati al trattamento (di qualsiasi grado, manifestati nel 5% o più dei pazienti) erano fatigue, prurito, rash, diminuzione dell’appetito, ipotiroidismo, diarrea e nausea. Le reazioni avverse di grado 3-5 legate al trattamento (manifestate in tre o più pazienti) erano fatigue, colite, debolezza muscolare, aumento della fosfatasi alcalina, diarrea, polmonite, aumento di AST, astenia, epatite e aumento di ALT. Reazioni avverse immuno-mediate di grado 3-5 si sono manifestate nel 3% o inferiore dei pazienti e comprendevano colite, insufficienza surrenalica, polmonite, epatite, diabete mellito di tipo 1, miocardite, tiroidite, chetoacidosi diabetica, nefrite tubulo-interstiziale, dermatite bollosa e rash.

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